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Perché l’India non è (ancora) diventata la Cina: dopo il Dragone arriva l’Elefante?

  • di Federico Giuliani Federico Giuliani

21 maggio 2023

Perché l’India non è (ancora) diventata la Cina: dopo il Dragone arriva l’Elefante?
Nei primi anni Duemila si iniziò a parlare di miracolo indiano. La realtà tuttavia ha seguito un corso ben diverso rispetto alle aspettative: la Cina, oggi, è diventata un player capace di insidiare da vicino il dominio mondiale degli Stati Uniti, mentre l'India non è riuscita a concretizzare alcun miracolo. Adesso l'Elefante ha la storica possibilità di salire sul treno della storia e recuperare tempo e terreno sul Dragone: l’India diventerà il Paese più popoloso al mondo entro il giugno 2023, 1.4286 miliardi di persone contro i 1.4257 miliardi di abitanti cinesi

di Federico Giuliani Federico Giuliani

Nei primi anni Duemila, quando la globalizzazione stava iniziando a stravolgere il mondo, si iniziò a parlare di miracolo indiano. Del resto, si ipotizzava, se l'economia Cina era riuscita a mettere il turbo sfruttando la sua condizione di fabbrica del mondo, inanellando una crescita media economica del 10% tra il 1990 e il 2004, perché mai quella dell'India sarebbe dovuta restare indietro? Tempo di recuperare il ritardo dai vicini cinesi, era il pensiero più in voga all'epoca, e ben presto avrebbe preso forma un secondo gigante economico asiatico, simile in tutto e per tutto al Dragone, ma democratico e non guidato da un Partito unico. La realtà ha tuttavia seguito un corso ben diverso rispetto alle aspettative. Con il risultato che la Cina, oggi, è diventata un player capace di insidiare da vicino il dominio mondiale degli Stati Uniti, mentre l'India, pur migliorandosi, non è riuscita a concretizzare alcun miracolo.

Auto nello stato indiano del Rajasthan
Veicoli piuttosto carichi nello stato indiano del Rajasthan

L'Elefante e il Dragone

Certo è che adesso l'Elefante indiano ha la storica possibilità di salire sul treno della storia e recuperare tempo e terreno. Dal punto di vista demografico, innanzitutto, la popolazione dell'India sta per superare, in termini numerici, quella cinese. Sul piano geopolitico, invece, le tensioni aggravate dallo scoppio della guerra in Ucraina non hanno impedito al governo guidato da Narendra Modi di mantenersi equidistante nello scontro tra blocchi, continuando a dialogare tanto con i partner occidentali quanto con la Russia (e persino con Pechino, nonostante la storica rivalità e le dispute lungo i confini). Lo scorso dicembre, l'India ha inoltre assunto la guida del G20 e ospitato il forum, diventando così il crocevia della diplomazia internazionale. Il compito di Modi, adesso, è uno: approfittare di tutte le contingenze favorevoli per esaltare le caratteristiche del suo Paese così da piazzarlo, finalmente, nel gotha delle potenze globali. In attesa di capire se l'India riuscirà a salire su uno degli ultimi treni a sua disposizione, vale la pena farsi una domanda. Perché Pechino ce l'ha fatta, ha concretizzato il suo miracolo economico e si è definitivamente scrollato di dosso un passato di miseria, mentre Nuova Delhi no (o almeno: non ancora)? I motivi sono molteplici e, come vedremo, chiamano in causa vari fattori.

Strade divergenti

Per anni, Cina e India sono state etichettate e considerate, allo stesso modo: i più importanti e interessanti Paesi emergenti del pianeta. Al momento, sono rispettivamente la seconda e la quinta economia mondiale su base nominale e condividono rispettivamente il 21% e il 26% della ricchezza globale totale (in termini nominali e a parità di potere di acquisto). Tra le nazioni asiatiche, contribuiscono insieme a più della metà del Pil continentale. Nel 1987, anno delle riforme economiche cinesi, il Pil nominale cinese e indiano era quasi identico, ma nel 2021 quello della Cina era 5,46 volte superiore. E ancora, a conferma del ritardo di Delhi nei confronti di Pechino, due anni fa il Dragone risultava quasi 5,4 volte più ricco dell'Elefante, in termini nominali, e 2,58 volte considerando uno scenario a parità di potere d'acquisto.

Una strada affollata in India: la demografia è un fattore importante
Una strada affollata in India: la demografia è un fattore importante

Il fattore demografico

L'India può iniziare ad invertire il trend affidandosi alla già richiamata variabile demografica, l'unica che al momento concede a Modi di avere un netto vantaggio sul leader cinese Xi Jinping. Secondo alcune stime, la popolazione cinese dovrebbe ridursi a 1,3 miliardi di unità entro la metà del secolo. Più nello specifico, c'è il rischio che, da qui al 2050, il "rapporto di dipendenza" della Cina - ovvero i "dipendenti" (bambini e anziani) rispetto alle persone in età lavorativa – possa toccare il 70%, creando non pochi problemi al welfare nazionale. Al contrario, secondo il paper State of World Inhabitants Report 2023, pubblicato dal Fondo delle Nazioni Unite per la popolazione (Unfpa), l’India diventerà il Paese più popoloso al mondo entro il giugno 2023, 1.4286 miliardi di persone contro i 1.4257 miliardi di abitanti cinesi. Con le dimensioni arrivano il potere geopolitico, economico e culturale che l'India ha cercato a lungo invano. La demografia è un ottimo punto di partenza sul quale edificare un miracolo economico, ma non è tutto. Occorre, infatti, pianificare una crescita efficace ed efficiente, puntando sui giusti settori, a meno che non si voglia correre a vuoto sprecando tempo e risorse preziose.

Il primo ministro indiano Narendra Modi
Il primo ministro indiano Narendra Modi

Gap da recuperare

Il tasso di crescita del Pil dell'India ha superato quello cinese nel 2015, spingendo numerosi ad analisti a predire un secondo miracolo cinese, soltanto in salsa indiana. È vero che Delhi ha fatto passi da gigante per diventare una potenza economica, ma è ancora molto indietro rispetto a Pechino. Attualmente, al netto del rallentamento riscontrato negli ultimi mesi, l'economia cinese resta circa cinque volte più grande di quella indiana. Il cittadino medio della Cina, ha sottolineato il New York Times, ha un economy output di quasi 13.000 dollari all'anno, mentre quello di un indiano medio è fermo a circa 2.500. Negli indicatori di sviluppo umano, inoltre, il contrasto è ancora più netto, con tassi di mortalità infantile in India molto più alti in Cina, aspettativa di vita più bassa e accesso ai servizi igienico-sanitari meno diffuso. Il tasso di sviluppo nell'India, poi, è disuguale, con alcuni Stati indiani simili a nazioni a reddito medio e altri arretrati (il nord-est, ad esempio, è indietro di 10-15 anni rispetto al sud), senza dimenticare che la distribuzione delle risorse sta diventando sempre più politicamente tesa, mettendo alla prova il sistema federale indiano. Le infrastrutture dell'India, sebbene siano notevolmente migliorate rispetto al passato, non possono competere con quelle della Cina, ostacolando così gli investimenti esteri rimasti stagnanti. Tra gli altri nodi che l'India deve ancora sciogliere, troviamo il contesto sociale infiammabile, con il nazionalismo indù sbandierato dal primo ministro Modi che ha spesso danneggiato le minoranze presenti nel Paese, e un sistema politico democratico spesso farraginoso. L'approccio politico indiano è rimasto frammentario, vincolato dagli interessi contrastanti di numerosi gruppi di pressione, come gli industriali, i sindacati, gli agricoltori e fazioni di vario genere. Per diventare ricca come la Cina, sostengono ora gli economisti, Delhi dovrebbe trasformare radicalmente il suo modello di sviluppo - facendo tutto il necessario per diventare un centro per la produzione leggera globalizzata - o tracciare un percorso alternativo capace di puntare sul settore dei servizi. Non a caso, Foreign Affairs ha scritto che l'India potrebbe essere all'apice di uno storico boom economico, ma a patto di centrare alcuni obiettivi, tra cui aumentare gli investimenti privati, anche attirando un gran numero di aziende globali dalla Cina. Il momento è propizio. L'esito del miracolo indiano non è però scontato.

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