Il professor Christopher Layne è un gigante nell’ambito delle telazioni internazionali. Professore di affari internazionali presso la Bush School of Government and Public Service alla Texas A&M University, autore di saggi come The Peace of Illusions: American Grand Strategy from 1940 to the Present (Cornell, 2006) e American Empire: A Debate, with Bradley A. Thayer (Routledge, 2006), oltre che di diversi articoli pubblicati su tutte le più importanti riviste americane che si occupano di geopolitica come International Security, The National Interest e Foreign Affairs, Layne è tra i più illustri e autorevoli esponenti della scuola “neorealista”, ispirata ai “maestri” Kenneth Waltz e Hans Morgenthau, Oltre ad essere membro del Council on Foreign Relations, è nel board editoriale di Security Studies e International Security. Lo abbiamo raggiunto per porgli qualche quesito sul futuro di Taiwan e sulla strategia degli Stati Uniti. Mentre scriviamo, infatti, Pechino ha da poco ultimato le imponenti esercitazioni militari al largo dell’isola in risposta alla visita negli Usa del presidente taiwanese Tsai Ingwen. Gli Stati Uniti e la Cina stanno per essere risucchiate nella temibile “Trappola di Tucidide”? Il professor Layne ci ha fornito il suo autorevole punto di vista sulla questione.
Prima del 1979, Taiwan faceva affidamento sulla protezione garantita dal Trattato di mutua difesa sino-americana, emanato dopo che le forze cinesi della terraferma iniziarono a bombardare Kinmen e Matsu nella prima crisi dello Stretto di Taiwan del 1954. Il trattato è rimasto in vigore fino al 1979, quando il presidente Jimmy Carter ha formalmente riconosciuto la Repubblica popolare cinese (RPC) comunista e ha interrotto le relazioni ufficiali con Taiwan. Una legge interna approvata dal Congresso, la TRA, ha tuttavia indirizzato la politica strategica degli Stati Uniti verso il "mantenere la capacità degli Usa di resistere a qualsiasi ricorso alla forza o ad altre forme di coercizione che metterebbero a repentaglio la sicurezza, o il sistema sociale o economico, del popolo di Taiwan”. La domanda è: in un'eventuale invasione cinese di Taiwan, cosa faranno gli Stati Uniti? La decisione dipenderà dalla volontà politica?
Se la Cina intraprenderà un'azione militare contro Taiwan, è certo che gli Stati Uniti interverranno. Quando si tratta della Cina, le opinioni dell'establishment della politica estera americana sono quasi uniformemente quelle dei “falchi”. Questo è uno dei motivi per cui Taiwan è un punto critico così pericoloso: è probabile che né Pechino né Washington si tireranno indietro. La Cina è determinata a riunificare Taiwan. Anche se preferirebbe farlo pacificamente, non c'è motivo di dubitare che lo farà con la forza, se necessario. Ed è così che gli Stati Uniti verranno in difesa di Taiwan.
Graham Allison ha analizzato, nel suo saggio Destinati alla guerra. Possono l’America e la Cina sfuggire alla trappola di Tucidide? (Fazi Editore), diversi casi in cui le grandi potenze della storia sono cadute nella famosa “Trappola di Tucidide”. Taiwan potrebbe essere l'innesco di una guerra su larga scala tra Stati Uniti e Cina?
Allison scriveva di quelle che gli studiosi di Relazioni Internazionali (IR) chiamano "transi-zioni di potere". Queste si verificano quando una potenza dominante in declino viene sfidata da una potenza in ascesa. Questa è la dinamica del quadro generale alla base delle relazioni sino-americane oggi. Il potere dominante in carica vuole preservare lo status quo geopolitico. Lo sfidante in ascesa vuole cambiarlo. Per dirla in altro modo, dal 1945 gli Stati Uniti sono l'egemone regionale dell'Asia orientale. La Cina ora cerca di sostituire gli Stati Uniti e di assumere per sé il ruolo di egemone regionale. Come dice il proverbio cinese, due tigri non possono vivere sulla stessa montagna. Ecco perché la relazione sino-americana è così pericolosa.
La recente visita della presidente della Camera Nancy Pelosi a Tapei e le successive esercita-zioni militari cinesi a seguito del viaggio del presidente taiwanese negli Usa potrebbero aver accelerato i tempi di una possibile invasione dell'isola da parte della Cina?
Di per sé, no. Gli Stati Uniti hanno intrapreso una serie di azioni negli ultimi anni (a partire dall'amministrazione Trump) che suggeriscono che si stanno allontanando dalla politica One China incarnata nel comunicato di Shanghai del 1972. Quindi la visita dei Pelosi è solo un altro ceppo gettato su un fuoco già acceso. Per Pechino, due fattori chiave daranno forma alla sua decisione su Taiwan. In primo luogo, prima di intraprendere un'azione militare (che potrebbe non essere all'altezza di una vera e propria invasione - un blocco), dovrà concludere che il suo obiettivo di unificazione non può essere raggiunto pacificamente. In secondo luogo, Pechino dovrebbe credere che l'equilibrio militare le offra una possibilità realistica di successo.
Un sondaggio del 2018 ha rivelato che quasi due terzi dei taiwanesi ritengono che il proprio esercito non sarebbe in grado di prevenire un'invasione delle forze armate cinesi. Solo il 27% degli intervistati era fiducioso del fatto che le forze di Taiwan avrebbero potuto scoraggiare un'invasione. Hanno ragione o, da un punto di vista strategico-militare, la conquista dell’isola è tutt'altro che semplice per la Cina?
Le invasioni anfibie sono, forse, le più difficili di tutte le operazioni militari. Alcuni analisti statunitensi ritengono che la Cina sia vicina all'acquisizione delle capacità navali, aeree e missilistiche necessarie per invadere Taiwan con successo. Ma ci sono anche altre misure che Pechino potrebbe usare per costringere Taiwan ad accettare la riunificazione con la Cina. Per quanto riguarda l'opinione pubblica taiwanese, riflette il fatto che, da sola, Taiwan perderebbe in un conflitto con la Cina.
Come ha recentemente affermato il direttore della CIA William J. Burns, “Non sottovaluterei la determinazione del presidente Xi ad affermare il controllo della Cina – il controllo della Re-pubblica popolare cinese – su Taiwan… Penso che i rischi diventino più alti, sembra, man mano che si va avanti in questo decennio". Cosa ne pensa di quest’affermazione di Burns?
Fondamentalmente, il direttore Burns ha ragione: più tempo passa senza una risoluzione diplomatica/politica, più diventa probabile la guerra. Sfortunatamente, non vi è alcuna indicazione che la questione di Taiwan sarà risolta pacificamente.
Il 27 febbraio 1972 ha segnato la pubblicazione congiunta del Comunicato di Shanghai, una dichiarazione inerente la politica estera cinese e americana che è rimasta la base delle relazioni bilaterali sino-americane. Nel comunicato, entrambe le nazioni si impegnarono a lavorare per la piena normalizzazione della politica diplomatica, accantonando le diffidenze di vecchia data. In effetti, si trattava di un avvertimento per l'Unione Sovietica. L'Occidente e gli Stati Uniti ora rischiano di dover competere con Cina e Russia sempre più “unite”?
Gli Stati Uniti sono già in competizione contro Cina e Russia.
Ultima domanda: quale pensa sarebbe la posizione della Russia in un ipotetico scontro USA-Cina?
Ci sono una serie di variabili che potrebbero pesare. Mosca avrebbe una gamma di opzioni, che spaziano dalla neutralità (rimanere in disparte) a una vera e propria alleanza militare con la Cina che porti alla co-belligeranza. Tuttavia, è difficile immaginare che la Russia venga coinvolta in un'altra grande guerra per un po' di tempo a venire. Indipendentemente dall'esito della guerra in Ucraina, la Russia avrà bisogno di molto tempo sia per ricostituire le sue forze armate, sia per ricostruire la sua economia. Quindi, se ci fosse una guerra sino-americana a breve e medio termine, Mosca seguirebbe probabilmente una politica simile alla posizione della Cina sulla guerra in Ucraina: fornire quanta più assistenza possibile senza innescare una risposta militare statunitense o ulteriori sanzioni statunitensi.