“Sono lieto come ministro degli Esteri finalmente di avere un ambasciatore americano a Roma. Questo mi pare un successo politico anche del nostro governo”. Antonio Tajani ha commentato con queste parole l’indiscrezione riportata dai media Usa secondo cui Jack Markell sarà il nuovo ambasciatore degli Stati Uniti in Italia. 62 anni, ambasciatore Usa all'Ocse ed ex governatore dal 2009 al 2017 del Delaware, Markell è un fedelissimo del presidente Joe Biden, amico del suo primogenito, Beau Biden, scomparso a causa di un tumore al cervello nel 2015. La scelta del presidente – in attesa che venga confermata da Casa Bianca e Congresso – va così a colmare un vuoto che durava da oltre due anni, dopo la scadenza di mandato del repubblicano Lewis Eisenberg, l’ambasciatore scelto dall’ex presidente Donald Trump.
Da più di due anni la rappresentanza in Italia è stata guidata da due incaricati d’affari, Thomas Smitham e Shawn Crowley. Sì, di mezzo c’è stato una pandemia e le elezioni statunitensi che hanno portato Biden alla Casa Bianca, ma non prendiamoci in giro: il fatto che la sede diplomatica di un Paese come l’Italia rimanga vacante per oltre due anni, la dice lunga sulla considerazione che gli americani hanno dell’Italia, nonostante la retorica sulla cruciale importanza strategica che ci vantiamo di godere al centro del Mediterraneo. A quanto pare, siamo meno interessanti di quello che crediamo, in questo momento. Probabilmente 30 anni di «vincolo esterno» e governi tecnici non hanno aiutato granché. Pensiamo alla Francia: Biden non ha atteso così tanto tempo per nominare un ambasciatore, e nel giugno 2021, a pochi mesi dal suo insediamento, ha indicato Denise Bauer come sostituta di Jamie McCourt. Lo stesso dicasi per la Germania, dove nel giro di pochi mesi Joe Biden ha nominato Amy Gutmann per prendere il posto del trumpiano di ferro Richard Grenell. In Italia, invece, ci è voluto il doppio del tempo per apprendere della scelta di Biden. Perché ciò che davvero conta, in Europa, nei rapporti di forza, spiace ribadire l’ovvio, è l’asse franco-tedesco.
L’amministrazione Biden nutriva peraltro un profondo scetticismo verso il governo Meloni, almeno nelle prime fasi, nonostante la presenza di un “garante” come il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, uomo stimato a Bruxelles e a Washington. Dopotutto, “Sleepy Joe”, quattro giorni dopo le elezioni in Italia, il 29 settembre 2022, aveva già commentato il voto italiano con un’uscita a vuoto delle sue che la diceva lunga: “Avete appena visto cosa è accaduto in Italia in quelle elezioni. Vedrete cosa accadrà nel mondo. La ragione per cui mi preoccupo di dire questo è che non potete essere ottimisti neppure su cosa accadrà qui”. Lontani i tempi in cui l’ex presidente Donald Trump twittava a favore di “Giuseppi” Conte, dando di fatto il suo endorsement alla nascita del governo “giallorosso” guidato proprio dal leader pentastellato, con il quale il Tycoon americano aveva stretto un ottimo rapporto personale. Dopo la parentesi di Mario Draghi – il “filoamericano” per antonomasia – dalle parti di Washington temevano che il nuovo governo di centro-destra, in particolare per via delle posizioni filorusse della Lega, assumesse una posizione “ambigua” in politica estera. Invece, i funzionari Usa e la Casa Bianca hanno potuto apprezzare, dal canto loro, un’Italia convintamente atlantista, schierata senza se e senza ma con la Nato in Ucraina, che non ha mai sposato le posizioni più “indipendenti” della Francia di Macron, ad esempio e che, nei giorni scorsi, ha addirittura ufficializzato l’addio alla Via sella Seta e a un fiume di denaro, sempre in nome della fedeltà atlantica. Sarà forse un caso, ma nelle stesse ore nelle quali veniva diffusa la notizia di Markell, come riferito dal Corriere della Sera il nuovo ambasciatore italiano negli Usa, Massimo Ambrosetti, confermava la decisione dell’Italia di uscire dalla “Via della Seta”, l'accordo commerciale con i cinesi siglato sotto il governo Conte I. E allora ecco spiegate le parole di Tajani, quando parla di “successo del governo” Meloni. Successo sicuro, ma per gli Stati Uniti. Non certo per i nostri interessi nazionali, quando Paesi come la Germania commerciano con la Cina molto più di noi, con un interscambio che fa impallidire il nostro.