E di questo e altro abbiamo parlato con l’autore Roberto Emanuelli, scrittore di grande successo, vanta più di mezzo milione di copie vendute. È un personaggio molto amato soprattutto dalle donne, ha sempre parlato d’amore ma l’ultimo libro “Quando tutto sembra immobile” è un romanzo che devia un po’ dal suo percorso, perché parla di attacchi di panico e racconta la storia di un uomo che convive con il disturbo ossessivo compulsivo e con l’ansia, ma non è un manuale di medicina. Probabilmente il giusto modo per avvicinare a questo tema chi ne soffre ma ha paura di sentirne parlare. Tratta l’argomento alternandolo a una storia d’amore e a tanto altro, che non vogliamo svelarvi ma che lasciamo a voi il gusto di leggiare.
Com’è essere un bell’uomo, sulla quarantina, considerato un sex symbol, essere corteggiato, scrivere d’amore eppure essere ancora single?
Che sono un sex symbol non lo dico io, io dissento! (ride) Per il resto, ecco, ho avuto delle storie importanti, e tutte mi hanno cambiato, segnato e insegnato qualcosa. Penso di amare ancora ognuna di quelle donne, a modo mio, anche solo un po'. Perché non credo che l'amore finisca, si dissolva. Penso che si trasformi, evolva in qualcosa di diverso come succede a noi, che non siamo mai sempre gli stessi. E resta un pezzetto di quello che è stato dentro di noi, nascosto magari in un angolo del nostro cuore protetto da ogni cosa. Quindi mi sento così, sempre innamorato, e nello stesso tempo sempre pronto ad accogliere un amore nuovo, qualora arrivasse, ma senza cercarlo in modo spasmodico. Senza forzatura. Lo aspetto intero, ecco, non cerco stampelle.
Sveliamo le caratteristiche, almeno un paio, che deve avere una futura signora Emanuelli.
Non ho canoni estetici troppo specifici, ho le mie preferenze, ovvio, ma non dipendono tanto da canoni prestabiliti quanto da un'armonia diversa in ogni persona. Invece, sotto il profilo del carattere e della personalità, amo molto le donne forti, intraprendenti, solari. L'entusiasmo e l'ironia sono qualità che apprezzo molto.
L’ultimo romanzo affronta il tema degli attacchi di panico. Com’è stato mettersi a nudo in questo modo?
Quando inizi a spogliarti, all'inizio, ti senti vulnerabile, ti sembra di scoprire di volta in volta centimetri della tua fragilità, punti deboli, ecco, ti pare di mostrare il fianco a tutto l'universo. Poi, quando finalmente hai il coraggio di rimanere completamente nudo, senti una sensazione di forza e di potenza che non so descriverti...
Hai raccontato di prendere, sotto controllo medico, psicofarmaci: non hai avuto paura che questo ti esponesse a critiche, ti facesse perdere qualche follower? O i lettori ti amano a prescindere?
No, non ho assolutamente mai avuto paura di ciò. Al limite mi aspettavo giudizi e critiche. Ho parlato del mio disturbo ossessivo compulsivo, degli attacchi di panico, dell'ansia, dei momenti di down, di rabbia, di tristezza, di sconforto. Tutte cose che possono spaventare. E invece è stata travolgente la risposta delle persone: migliaia di messaggi nei quali mi si diceva cose tipo “adesso mi sento meno solo”, “anche io come te, grazie per averne parlato”, “sembra la mia vita”, eccetera... E quindi ho sentito, oltre a quel senso di liberazione e forza di cui parlavo prima derivante dall'essermi messo a nudo, anche una meravigliosa e inaspettata sensazione di aver fatto qualcosa di utile.
Quali sono le frasi che ti rappresentano di più?
Fra le mie? Dico questa: “Ti guarderanno dall’alto al basso, credendosi più grandi di te, e tu alzati in piedi, lentamente, sorridendo, e ricorda loro che eri solo seduto”.
Sappiamo che stai preparando un altro romanzo che parlerà della visione maschile dell’amore diciamo di come l’uomo vive e percepisce certi attimi… puoi svelarci qualcosa?
Non posso svelare ancora molto. Diciamo che nel romanzo emergerà la visione sincera di come i maschi vivono alcune situazioni, soprattutto sotto il profilo psicologico, emotivo e delle emozioni. Ma ci sarà molto altro, in questa nuova storia che sto scrivendo...
A cosa credi di dovere il tuo successo? Colpisce molto della tua storia il fatto che tu non sia un “figlio di” ma un self made man: quanto credi che ciò abbia inciso positivamente o negativamente nel tuo percorso? Cosa ha significato per te non poter contare sull’appoggio di qualcuno?
Ha significato molto, quando non hai alcun appoggio e vieni da zero affronti tutto con una determinazione completamente diversa. Il primo romanzo, “Davanti agli occhi”, l'ho scritto in un garage, perché è lì che vivevo. Un garage che il proprietario aveva adattato a casa, pagavo 300 euro al mese di affitto. Senza finestre. Adesso, solo adesso, un ricordo bellissimo di quei momenti difficili ma pieni di vita. Mi hanno dato la spinta giusta per provarci. Per farcela. E ci sto ancora provando...
Si dice che in Italia si legga sempre meno, lo stai riscontrando anche tu con i tuoi romanzi?
Purtroppo l'Italia non è certo il paese occidentale dove si legge di più. E le varie nuove forme di intrattenimento digitale non stanno ovviamente aiutando. Ma credo anche che le persone abbiano sempre più necessità di immergersi in belle storie, visti i tempi che viviamo.
Dacci il nome di uno scrittore contemporaneo che ti piace e che stimi e di uno invece che non ti fa proprio impazzire.
Ovviamente mi riferisco solo all'aspetto professionale e letterario, non a quello personale. Sono troppi, però, quindi te ne dico solo alcuni che mi piacciono: mi piacciono Teresa Ciabatti, Francesco Piccolo e Walter Siti. Quelli che non mi fanno impazzire sono parecchi, inutile elencarli tutti.
Cosa ne pensi del Premio Strega? C’è chi dice sia pilotato… Secondo te?
È un premio prestigioso che dà una grande opportunità a chi lo vince, sia sotto il profilo della visibilità, si sotto il profilo delle vendite e del prestigio. So che non potrò mai ambire a questo premio perché a quel premio sembrano destinati solo alcuni, e non sono mai scrittori pop.
Sul fatto che sia o meno pilotato non ne so nulla, mi auguro che non sia così...
Credi che ci sia un po’ di snobismo verso certi autori che vengono da altri mondi, come i social? Ormai sembra che per pubblicare e avere buone recensioni sui grandi giornali serve far parte di certi salotti. È davvero così?
Allora, partiamo da una differenziazione: io fin dall'inizio ho usato i social per veicolare i miei contenuti, cioè piccoli passaggi dei miei romanzi con i quali cercavo di farmi conoscere. Molti invece hanno usato i social per diventare famosi con contenuti differenti, magari divertenti o altro che non aveva a che fare con la letteratura, e poi, una volta diventati famosi, si sono improvvisati scrittori. Come potrai immaginare è molto differente. Detto questo, sì, c'è snobismo, esistono salottini chiusi. Ma tutto questo esiste dalla notte dei tempi, no? L'abbiamo detto prima: cerchiamo comunque di farcela...