Il Premio Strega ha i suoi “12 campioni”. Uscita la rosa dei selezionati per accedere all’ultima fase, quella della cinquina che verrà annunciata il 6 giugno, nonostante qualche nome apprezzato, Gian Paolo Serino ha scelto MOW per lanciare la sua provocazione a un Premio che non ha quasi più da dire nulla agli addetti ai lavori e che, piuttosto, dovrebbe premiare i soliti noti, gli unici che a questo premio tengano davvero. Ognuno per un motivo che con la letteratura ha poco a che fare. Quest’anno a contendersi la vittoria saranno Gian Mario Griffi, rivelazione di quest’anno editoriale con Ferrovie del Messico (Laurana), Rosella Postorino con il suo Mi limitavo ad amare te (Feltrinelli), Silvia Ballestra con La Sibilla. Vita di Joyce Lussu (Laterza), Maria Grazia Calandrone con Dove non mi hai portata (Einaudi), Andrera Canobbio con La traversata notturna (La Nave di Teseo), Ada d’Adamo e il suo Come d’aria (Eliot), Vincenzo Latronico con Le perfezioni (Bompiani), Romana Petri per il suo Rubare la notte (Mondadori), Igialba Scego con Cassandra a Mogiadisco (Bompiani), Andrea Tarabbia e il suo Il Continente bianco (Bollati Boringhieri), Maddalena Vaglio Tanet con Tornare dal bosco (Marsilio) e Carmen Verde per il suo Una minima infelicità (Neri Pozza). Ma per Serino i nomi che dovrebbero “vincere a pari merito” sono molti altri, ognuno perfettamente integrato alle dinamiche delle vetrine letterarie.
Comunque se fosse stato per me avrei già dato il premio oggi a tutti, pari merito. A Silvia Ballestra, che sono 30 anni che ce la mena per colpa di quel talent discount di Tondelli. A Igiaba Scego per aver scritto il 150esimo libro sul colonialismo attuale senza aver mai cambiato una virgola della realtà. A Crocifisso Dentello oltre che per pietas per il suo lavoro critico dove elogia tutti perché almeno elogiano lui. A Francesco Musolino che avendo tanti da elogiare non fa articoli ma pagine intere dov’è ficca dentro tutti. A Teresa Ciabatti per non aver scritto un libro. A Niccolò Ammaniti per aver resistito stoicamente a 200 interviste. A Nicola Lagioia per aver rivalutato attraverso i suoi romanzi persino la Duna Fiat. A Francesco Piccolo che è un genio: porta nel cognome la sua bravura e riesce a trasformare anche “La bella confusione” in una metafora della sinistra anni ‘60. Ogni volta che lo leggo mi spiace: perché poteva essere il Baricco della nuova generazione.
A Marco Da Milano perché il suo romanzo è la sua carriera: meno di zero ma cambiando sempre opinione lo ritroviamo sempre. Non ha bisogno di difendere chi naufraga: è lui stesso un naufrago scampato. A Silvia Avallone perché dopo Acciao, più che un romanzo una bara senza maniglie, scrive ancora libri ormai domopack. A Chiara Gamberale che ormai è più coerente di Emanuele Trevi quando scrive di libri. A Walter Veltroni con l’ennesimo giallo perché almeno sta lontano dai suoi film. E infine a Ennio Flaiano “un marziano a Roma” tanto nessuno dei giurati si accorgerebbe che è morto.