Ce l’ha messa tutta. Anzi, ce li ha messi tutti. La guerra, il fascismo, la Resistenza, la provincia, lo stigma sociale, la crescita personale, le protagoniste donne, il femminismo. Il suo La Malnata (Einaudi 2023) esce in contemporanea in Italia, Spagna, Francia e Paesi Bassi e a breve lo troveremo anche in Germania e negli Statu Uniti. Altro che Made in Italy. Giorgia Meloni riparta da Beatrice Salvioni.
Ci sono due ragazze, una delle due, quella che dà il titolo al libro, è la vittima di malelingue di provincia e convinzioni grette. È la “Malnata”, la strega, la portatrice di sfortuna. Invece Francesca è una ragazza normale, troppo per i gusti di Salvioni. No, non stiamo parlando de L’amica geniale di Elena Ferrante.
Ci aspettiamo un seguito. Lo ha detto lei: “Ti accorgi di aver bisogno di continuare una storia quando, dopo un po’ di tempo che l’hai scritta, i personaggi iniziano a mancarti”. O, più semplicemente, perché si sta già parlando di una serie TV.
Transfemminista, studentessa alla Scuola Holden di Baricco, Torino. Ha vissuto il trauma dell’uomo tossico che una le guardò le cosce e mentre le amiche le dicevano che doveva esserne contenta lei realizzò che del corpo ci si poteva vergognare.
Il libro è il prodotto intenzionale di tutto questo, un modo per mettere insieme il sogno di diventare scrittrice e la volontà di non mettere in discussione nulla che non sia già acquisito, a dispetto della credenza diffusa che si tratti ancora di lotta. Stiamo parlando di un libro che si aggiunge alla difesa a catenaccio dell’editoria mainstream italiana, fatta di Chiare, Michele, et dolci acque della sinistra bene.
Se prendiamo il capolavoro di Elena Ferrante (ma qualcosa anche da Storia di neve di Mauro Corona) abbiamo dieci Malnate ma meglio. Beatrice Salvioni fa il mimo di bei libri venduti come il pane, finendo per aprire l’ennesima pizzeria per sola Sinistra sul Corso, però arredata come un locale di periferia, perché fa sempre punk. Ovviamente preferendo alla Coca-Cola la torinesissima Molecola.
Un libro vintage per chi è abituato bene ma non troppo bene. È un libro “non per tutti” in un solo senso: è un manifesto, scritto come si scrivono i manifesti se hai fatto la Holden. Ha più trama di un qualsiasi romanzo di Valerio e meno compiacimento stilistico di Michela Murgia, ma ricorda quello che – effettivamente – è: un tema per superare un esame alla scuola dell’ovvio.