Il direttore del giornale dove lavoravo, anni fa, suggeriva a tutti di usare il meno possibile l’aggettivo “interessante”. Aveva ragione, serve a niente, il più delle volte. Oggi mi permetto di sfoderare un “interessante” per appiccicarlo a tutto ciò di cui, in genere, si occupa Domenico Quirico, storico reporter de La Stampa. Non me ne voglia l’interessato, al quale tutto vorrei tributare tranne che il più inflazionato degli aggettivi. Eppure ciò che Quirico scrive e dice non è mai “meno che interessante”. Forse perché colui che è stato sequestrato dall’Isis e ci ha spiegato le primavere arabe ha ancora l’abitudine – è l’insopprimibile viziaccio del giornalismo migliore – di raccontare ciò che vive. L'altro giorno lo hanno invitato alla Cooperativa La Magnana,a Piacenza, consci che le sue parole fanno quasi sempre bene, ma vanno anche giù amare come certi sciroppi oleosi che ci toccava trangugiare da bambini. Nessun aroma alla fragola, negli aneddoti e nelle frasi di Quirico. “L’immigrazione per l’Italia: emergenza e problema di sicurezza oppure regolarizzazione come scelta umana, politica ed economica?”: questo il tema di cui si è dibattuto, all’interno di un incontro organizzato dall’associazione Arcangelo Dimaggio. Insieme a Quirico, Michela Cucchetti, avvocato esperto in diritto dell’immigrazione, Manuel Sartori, funzionario dell’Ispettorato del lavoro di Piacenza, e Giorgio Lambri, giornalista di “Libertà”. Sopra il tavolo, molte ombre. Le ultime, particolarmente dense, quelle francesi. “Giorgia Meloni è incapace di risolvere i problemi migratori”, ha dichiarato il ministro dell'Interno francese Gérald Darmanin. Un’accusa che ha ingigantito l’incendio di un dibattito politico da anni costantemente acceso. Fitto di equivoci, accuse, manicheismi. Dici “immigrazione” e parte l’otto volante dei talk-show, gli animi si arroventano, sbucano fuori le visioni sbavanti e sommarie dell’incombente apocalisse (“ecco le risorse, l’Italia era un paese civile, adesso è una discarica per delinquenti”) e le certezze sbadiglianti di quegli osservatori da salotto sempre un po’ troppo lontani dal cuore della contesa (“tutta percezione, non esiste alcun problema sicurezza, è solo una questione di integrazione”). E poi c’è Quirico.
Ehm, l’immigrazione: una questione soprattutto di sicurezza pubblica o, se vogliamo, un’opportunità?
Mah… A volte mi pare che non ci si voglia proprio capire. Nel 2011 ho fatto la traversata su un barcone di dodici metri insieme a centododici compagni di viaggio partendo dalla Tunisia. Affondati (e salvati) davanti a Lampedusa. Oggi, nel 2023 potrei fare lo stesso identico viaggio partendo dallo stesso porto. Pagando solo un po’ di più lo scafista di turno. In dodici anni non è stato fatto nulla per ciò che, già all’epoca, veniva definita “emergenza”. Non è cambiato nulla. La questione migratoria è il gigantesco fallimento della politica. Il fallimento dei progressisti, dei fascisti, degli xenofobi, degli illuminati e degli illuministi. Un unico colossale fallimento.
Prendiamo atto di questo nulla, allora. Una responsabilità dei governi italiani o dell’Europa? O di entrambi?
È una responsabilità dell’intero occidente. Penso a Salvini, al governo giallo-verde di Conte, a Draghi, ma penso anche a Macron, faro “progressista” che però ha mandato i gendarmi a chiudere i confini. La Francia ci dà lezioni, ma non è diversa da noi e non vedo, di fatto, un’alternativa a tutte queste politiche così simili. A livello interno ognuno tira l’acqua al suo mulino per guadagnare qualche voto o qualche punto percentuale nei sondaggi, ma in mezzo c’è un desolante e devastante nulla.
Cosa c’è dietro la retorica dei partiti e l’illusione di un dinamismo (soprattutto dialettico, evidentemente) che, in realtà, genera una colpevole e tragica immobilità?
I migranti servono, sono indispensabili. Servono ai buoni e ai cattivi. Devono esistere, come i poveri. Sui migranti si fanno un sacco di soldi, e non parlo solo di scafisti. Il migrante, come il povero, fa parte del grande esercito di riserva del capitalismo liberista. Garantisce che il prezzo del lavoro resti basso.
I migranti servono a tutti, dici. ONG comprese?
Certo. Cosa farebbero le ONG se non ci fossero i migranti? Le ONG fanno un mestiere. Salvano vite umane e io, sia chiaro, rispetto a un gesto simile mi tolgo tre volte il cappello senza alcuna ironia. Però vivono di quello. Come tutto il sistema della carità e dell’assistenza internazionale vive di guerre, miseria e carestie. Le ONG sono una parte del sistema della misericordia industrializzata. Ma la misericordia vera è gratuita, non è un affare. Certo, non stiamo parlando del business degli armamenti, però è comunque un contratto, un’attività, un lavoro, per quanto virtuoso. Il migrante deve esistere in saecula saeculorum. Se la sua condizione migliora, che fine fanno quelli che campano sopra di loro? Discorso quasi identico per i poveri: se non ci fossero i poveri, come si alimenterebbe il mercato del lavoro? Nella Storia il povero è sempre stato utile e necessario. Suono cinico?
No, solo non mi aspettavo che te la prendessi con le ONG.
E infatti non me la prendo con le ONG! Chiarisco: io ho un enorme rispetto per chi lavora per le ONG. Parliamo di gente, ripeto, che salva vite umane e attenua il dolore altrui. Tuttavia, neppure loro sono una soluzione. Ipotesi folle: con mille navi delle ONG in mare, cosa risolveremmo? Poco o nulla. Eviteremmo qualche tragedia, ma il problema rimarrebbe.
Non sono più certo di sapere quale sia, secondo te, il problema.
Il problema è il carattere vergognosamente criminale delle relazioni internazionali di cui noi, rispettabili paesi europei, siamo il soggetto principale. Se migrano a migliaia è perché noi facciamo in modo che nei paesi da cui queste persone provengono le condizioni di vita siano impossibili. E lo facciamo in mille modi. Partendo, ad esempio, dalla complicità che abbiamo con i governi che derubano e affamano i loro popoli. Dal rapporto non equo dello scambio fra materie prime e ciò che noi produciamo. Dalle guerre che fingiamo di non vedere. Davanti a tutto questo le ONG ci mettono un cerotto, bloccano un’emorragia. In quest’ottica il migrante come potrebbe essere un’opportunità per l’occidente? Non giochiamo con le parole. Io la vedo in modo radicale, questa faccenda: lasciamo stare i corridoi umanitari e tutte queste logiche meschine. O entrano tutti o non entra nessuno.
Quindi tutti o nessuno?
Tutti, direi. In base a quale criterio laico o ecumenico fai la selezione? Cosa regolarizzi? Come disciplini il caos? Faccio spesso questo riferimento: la società delle nazioni, fra le due guerre mondiali, in un mondo impoverito e distrutto, senza internet, in Europa risolse il problema di milioni di profughi provenienti dalle colonie con un semplice passaporto valido per ogni paese che facesse parte, appunto, della società delle nazioni. Così gli armeni che erano sopravvissuti alle scimitarre dei curdi e dei turchi sono andati in Francia o in America, i russi si sono salvati dai gulag e dalla Siberia. Una marea di gente ha avuto la possibilità di varcare un confine nuovo che fino al giorno prima non esisteva. Tutto questo fra il 1922 e il 1926, grosso modo. Un secolo fa. Oggi, invece? Con tutti questi esperti, questi intellettuali che pontificano e analizzano? Tutti fermi ai barconi del 2011. Tutto grottescamente drammatico per “la grande Europa”.
Nei primi mesi del 2023 il numero dei migranti sbarcati è quadruplicato rispetto al 2022 (da 10.188 a 40.856; dato aggiornato al 28 aprile 2023). Non credi che questo incremento sia un ulteriore problema? Se i numeri salgono troppo…
I numeri mi lasciano perplesso a volte. “Ci sono ottocentomila persone pronte a partire dalla Tunisia”, dice. Ma chi li ha contati? Chi sono? Come sono stati raccolti questi dati? In Europa i poveri ci sono, ma poche persone muoiono di fame sulla pubblica piazza. Pensiamo davvero che cinquecentomila persone in più, un milione di persone in più, non ci stiano? Mica tutte in Italia, ovvio. A cosa serve l’Europa se non a distribuire questi uomini e queste donne per dare loro una chance di vita? Se l’Europa non serve a questo possiamo fare tranquillamente a meno dell’Unione. Il suo unico scopo è salvare le banche e raccattare soldi per l’industria delle armi, forse? Se è così possiamo pur chiudere baracca e burattini quando vogliamo.
Però “un milione” fa paura, siamo sinceri.
E certo che fa paura! Non possiamo ospitare tutta l’Africa. Però potremmo provare, una volta tanto, a risolvere il problema alla radice. Aiutiamo gli africani a sbarazzarsi di coloro che li tiranneggiano e li affamano. È un discorso troppo bolscevico? Troppo rivoluzionario? Beh, è ciò mi è venuto in mente quando sono salito su quel barcone e ho affrontato il mare come tutti quegli individui che puntavano Lampedusa insieme a me. Gente che pucciava il dito nell’acqua per sentirne il gusto salato. Non sapevano neppure cosa fosse il mare.
Gente che ormai credo non abbia più, dell’Italia, quella vecchia idea del paese di Bengodi…
Quella del 2011 era già un’altra immigrazione. I miei compagni di viaggio erano tutti giovani tunisini maggiorenni. Erano consapevoli di poter morire e che nessuno, da noi, li avrebbe accolti a braccia aperte. Non ci volevano nemmeno restare in Italia, avevano parenti in Belgio o in Francia. Sapevano però che l’Italia, con le sue 22 ore di navigazione, essendo l’approdo più prossimo, era una destinazione obbligata. Era la geografia a spedirli da noi, mica una fascinazione per il nostro paese. Ma del resto l’idea che abbiamo del migrante è bizzarra. Lo pensiamo come una figura marginale, fuori dalla Storia. Invece è il centro della Storia del ventunesimo secolo. Il migrante come categoria universale non esiste. I migranti cambiano man mano che il mondo cambia intorno e assieme a loro.
Torniamo quindi a una politica che ha, come prima esigenza, quella di “usare” il migrante per ottenere consensi?
Sì. La soluzione del problema – e mai vorrei essere confuso con quelli che “aiutiamoli a casa loro” – è dall’altra parte del mare. La politica europea, per ora, ha fatto solo giochini e confusione. Sbaglia anche quando suggerisce di spedire soldi a destra e sinistra. Quella di risolvere tutto con i soldi è una logica tipicamente capitalistica, liberistica. Ma i soldi non sono onnipotenti. La soluzione, dall’Afghanistan all’Eritrea, dal Benin alla Tunisia, può essere solo una soluzione politica. Bisogna spazzare via le élite di manigoldi messe lì dai governi europei e i conseguenti traffici che ci vedono complici. Inutile spedire soldi, tanto poi se li intascano il colonnello golpista, il presidente, il capobanda, il rais… Quella gente deve sparire e il nostro modo di fare politica in quei paesi deve cambiare. Drasticamente.
Permettimi di invitarti nel mezzo della bagarre: noi “riceventi” possiamo però dire che se il migrante arriva in Italia senza la certezza di un lavoro, tutti – noi e loro – ci consegniamo a un orizzonte in cui prevarrà, per forza, l’opzione criminale?
Sì, possiamo dirlo. Senza uno sbocco in attività lecite, il rifugio non può che essere la criminalità. Ma questo fa sempre parte dell’utilità del migrante di cui parlavo all’inizio. Prendiamo il caporalato: una parte dei migranti è impiegato nelle stagioni agricole (campagne del pomodoro, delle arance, dell’uva e così via). Tutto rigorosamente in nero, in condizioni pessime. Bene, a questo punto qualcuno si indigna e grida allo scandalo. Se però regolarizzassimo questi lavoratori, noi consumatori saremmo disposti, come conseguenza, a pagare di più i pomodori, le carote e tutto il resto? No, alla gente girerebbero le scatole, insorgerebbe. E, bada, anche in tv ci sono fior di progressisti che alimentano questo sistema illegale, “al risparmio”. Non c’è alternativa: dobbiamo trasformare il nostro rapporto con questo pezzo di Storia. La soluzione del problema migratorio deve costare qualcosa a noi. A noi come governi, come sistema. Non possiamo ridurre tutto a un mero mercimonio. E questo mercimonio, in cui noi ci guadagniamo, non si risolve con la carità e l’assistenza. Abbiamo il dovere morale di isolare i tiranni, svincolarci da questi rapporti. Chi c’è oggi al potere in Libia? Quelli che sfruttano i migranti. E perché li abbiamo lasciati lì al loro posto? Perché stringiamo le mani insanguinate di quella gentaglia?