C’hai 5 racconta la storia di una bambina affetta da una malattia renale, costretta a effettuare giovanissima un trapianto. La bambina crescerà e, diventata medica (Maria Grazia Cucinotta), dedicherà la sua vita alla ricerca di nuove cure per coloro che, come lei, hanno dovuto affrontare una malattia fortemente invalidante. Un dramma che colpisce anche i familiari e le persone vicine al paziente (Gabriel Garko interpreta il padre della bambina), con conseguenze molto pesanti per la vita di tutti. Nonostante tali patologie affliggano 6 milioni di persone solo in Italia, se ne parla ancora poco. Per questo motivo è importante che il lavoro di persone come Alessandra Cantilena e di associazioni come Liberituttionlus venga sostenuto. C’hai 5 rappresenta l’opportunità per il pubblico di avvicinarsi alle storie di persone troppo facilmente dimenticate, in attesa perenne di una soluzione, sia essa il trapianto o la dialisi. E proprio con Alessandra Cantilena abbiamo approfondito il tema a partire da come proprio la dialisi, nonostante sia una pratica necessaria, comporti conseguenze gravissime per la vita sociale e psichica del paziente, il quale assiste alla formazione di una frattura irreparabile tra sé e il resto del mondo. Quasi come fosse uno stigma, i malati si trovano reclusi, attaccati a macchinari che li aiutano a sopravvivere. Oggi, la ricerca per le cure è ferma. Alessandra si propone di sensibilizzare, spingere le persone a donare per migliorare la vita delle persone afflitte da questo genere di patologie. E questo inteso cortometraggio può essere la vostra occasione di fare del bene.
Ciao Alessandra, domenica 7 maggio il cortometraggio C’hai 5, a cui hai collaborato con la tua Onlus, sarà al Festival Tulipani di Seta Nera. Com’è nato il progetto?
Un anno fa il regista Daniele Falleri ha accettato di partecipare a questo progetto. Il corto sarà proiettato per la prima volta nell’ambito del Festival dei Tulipani di Seta Nera, un festival a percorsi sociali molto importante. Maria Grazia Cucinotta e Gabriel Garko, che recitano nel corto, saranno in loco per presentarlo. Con Liberituttionlus, associazione che presiedo e che ho fondato nel 2007, abbiamo deciso di promuovere questo cortometraggio, prodotto e distribuito da Vivi la vita srl. C’è inoltre un cast composto da membri della Scuola di recitazione - Action Academy. Il regista è il loro insegnante. Spero che il corto venga visto da più persone possibile e che in molti si avvicinino al tema delle malattie renali.
Hai avuto l’opportunità di conoscere gli attori?
Sì, sono stata sul set. Ho anche intervistato Daniela Poggi, la quale aveva un ruolo complesso: interpretare la dottoressa che deve comunicare alla ragazzina la presenza della patologia. Ad ogni modo, ho cercato di non disturbare, di non intromettermi nel lavoro della produzione. Certo, all’inizio noi di Liberitutti abbiamo dovuto raccontare come si svolgono storie come questa, come si sentono i le persone. Insomma, quello che succede quando si scopre la malattia. Il regista ha dovuto interpretare queste nostre conoscenze, farle sue per costruirci una narrazione. Non era facile, ma abbiamo tutti lavorato molto.
Cosa puoi dirci della storia?
È la storia di una ragazza normale: fa sport ed esce con gli amici. All’improvviso, però, si ritrova in un letto di ospedale a causa di una grave malattia renale. C’è bisogno di un trapianto. Accanto a lei c’è suo padre, interpretato da Gabriel Garko. Il compagno di stanza in ospedale, impersonato da Andrea Roncato, si lamenta per l’insopportabile attesa di un rene compatibile. Inoltre, è consapevole che il rene sarà dato alla ragazza, più giovane e con un’aspettativa di vita maggiore. La ragazza crescerà e diventerà medica, Maria Grazia Cucinotta, appunto, che si batterà per ottenere nuovi fondi per la ricerca sul rene bionico, una terapia che, si spera, possa sostituire la dialisi e il trapianto, pratiche necessarie ma non risolutive.
La “selezione” per i riceventi di un organo è sempre un aspetto delicato.
Per questo è importante la donazione, non solo di rene. Il trapianto è l’unica strada per dare un’altra vita a una persona. Ci sono liste d’attesa lunghissime e non è scontato che il trapianto avvenga. Anche quando il trapianto viene effettuato, l’organo non dura per sempre. Si arriva fino a circa 15-20 anni.
L’obiettivo è spingere le persone a donare per la ricerca, giusto?
Assolutamente. Io con Liberitutti lavoro quotidianamente per questo: vogliamo sensibilizzare la popolazione su cosa significhi vivere con una patologia ai reni e sosteniamo la ricerca per trovare nuove cure. Il problema è che questo è un tema perlopiù oscuro. La gente non sa molto delle malattie renali.
Come mai?
Rispetto a Hiv, cancro o sclerosi, malattie terribili e su cui occorre fare ancora molto, altre patologie sono meno note. Non è una polemica! Ci mancherebbe. È solo una constatazione. Esistono malattie che portano alla distruzione dei reni e che necessitano la dialisi. Non so se hai presente cosa questo significhi.
Dicci qualcosa di più.
La dialisi è una pratica necessaria ma anche una forma di “tortura cinese”. Questa consiste nel rimanere attaccati per molte ore, tre volte alla settimana, a un macchinario che depura il sangue. Sono cure che durano tutta la vita. La macchina fa il lavoro che i reni non fanno più
Ovviamente, questo comporta gravi conseguenze sociali.
Si perde il lavoro e la vita sociale diventa quasi inesistente. I malati vivono in uno stato di sete permanente e non possono consumare cibi che le persone comuni mangiano regolarmente. È una cosa molto pesante e in quei reparti non viene molta gente in visita.
Immagino che la dimensione sociale della malattia coinvolga anche la famiglia.
Certo, le conseguenze si riflettono su tutte le persone vicine al malato. Ci si trova ad avere una persona che vive una realtà parallela alla vita normale. Anche perché la dialisi non è stata sdoganata, al contrario di altre terapie.
Cosa vuoi dire?
Non si capisce che è la conseguenza di un malfunzionamento di una parte del corpo. È una cosa un po’ strana: la dialisi viene vista con sospetto. Non me lo so spiegare neanche io. È come se il malato fosse identificato completamente la malattia. C’è uno stigma fortissimo. Sei visto come persona disabile. Per questo, molta gente non dice di essere malata, ha paura.
Nell’immaginario comune le malattie ai reni colpiscono solo le persone anziane.
No, finiscono in dialisi anche bambini. Quelle ai reni sono malattie che colpiscono anche i più giovani. Per fortuna, adesso c’è più prevenzione, oltre alla possibilità di effettuare i trapianti, seppur con le problematiche del caso.
Secondo te, perché le persone sono contrarie alla donazione degli organi?
Per motivi che non sussistono. Sì, gli organi vengono prelevati a cuore battente. Ma ciò avviene quando si è cerebralmente morti. Le persone, invece, pensano che uno possa magicamente risvegliarsi.
A che punto è la ricerca?
È ferma, non procede. Con la Onlus di cui sono presidente cerchiamo di invertire questa tendenza.
Nel corto si parla di rene bionico: esistono degli studi a riguardo o è un’invenzione filmica?
È una realtà, ci sono degli studi. Mi viene in mente il lavoro di esperti americani come Shuvo Roy e William Fissel. Si tratta di trovare delle alternative. Non è semplice, anche perché si nascondono dei grossissimi interessi dietro alla tecnologia della dialisi. È fondamentale liberare il paziente dalla schiavitù della macchina. Per questo motivo la Onlus si chiama Liberitutti. Ci tengo molto a chiarire questo: noi non siamo “contro” la dialisi, semplicemente vogliamo che il malato possa vivere in maniera diversa.
In sintesi, qual è il messaggio che deve passare?
Donare: per sostenere la ricerca, per il progresso, per liberare i malati dalla dialisi. E donare gli organi per garantire un futuro a persone che soffrono di patologie invalidanti.