Era il 7 maggio del 1983 quando Mirella Gregori scomparve. Sono trascorsi esattamente quarant’anni da quel giorno, eppure nulla è cambiato, perché Mirella non ha ancora fatto ritorno a casa. Aveva soltanto quindici anni e tutta una vita davanti a lei, ma improvvisamente tutto si è fermato. Una citofonata da parte di un certo Alessandro, che la invitò a scendere per trascorrere del tempo insieme. I due avrebbero dovuto incontrarsi nel pomeriggio a Porta Pia. Questo Alessandro, che in un primo momento si era ipotizzato potesse essere un compagno di classe, non è mai stato identificato. Inizialmente bollata dagli inquirenti come una fuga volontaria, una mattata compiuta da una ragazzina, invece il tempo ha dimostrato che si trattava di tutt’altro. Dopo poco più di un mese scompare anche un’altra ragazza, Emanuela Orlandi, una cittadina vaticana anche lei quindicenne. Le due storie sembrano intrecciarsi, fin quando Giovanni Paolo II durante un Angelus le cita entrambe. Ci si chiede se le due sparizioni siano realmente collegate, o se la storia di Emanuela abbia in qualche modo coperto Mirella, da sempre più in ombra, impedendo di riuscire a scoprire cosa le sia davvero accaduto quel pomeriggio. Noi di MOW abbiamo intervistato sua sorella Antonietta, che mai in questi lunghi anni ha smesso di cercarla e di lottare per la verità. Anni in cui si sono battute diverse piste, come quella che vedeva coinvolta una delle guardie del corpo del papa, che abitava vicino al bar di proprietà della famiglia Gregori, e che sarebbe stato visto intrattenersi a chiacchierare con Mirella. Ipotesi che presto si sgonfiò e che non portò a nulla. Impossibile poi dimenticare la telefonata ricevuta dalla famiglia in cui un uomo elencava gli abiti indossati dalla ragazza al momento della scomparsa. Telefonata di cui anni dopo si accusò Marco Accetti, considerato da molti un mitomane, che più volte ha sostenuto di aver avuto un ruolo nella sparizione delle due ragazze, ma senza mai fornire delle prove concrete, come quando sostenne di essere in possesso del flauto di Emanuela. Ancora oggi non si sa chi fu a fare quella telefonata. Antonietta ha voluto lanciare un appello: “Anche dopo quarant’anni, se qualcuno sa qualcosa, anche in forma anonima può sempre parlare e liberarsi la coscienza, per una famiglia che aspetta il ritorno di una figlia e di una sorella”.
Cosa ricorda del giorno in cui scomparve Mirella?
Ero a lavoro, mi chiamò mia madre dicendomi che Mirella era scesa per un appuntamento avuto da una citofonata di un compagno di scuola, e che non era più rientrata.
Il fantomatico Alessandro?
Sì, è da lì siamo caduti in un baratro profondo. Purtroppo, le nostre prime ricerche non portarono a nulla. In serata andammo a fare subito la denuncia di scomparsa, e da lì iniziammo a cercarla negli ospedali e nei vari posti che Mirella potesse frequentare, o chiesto se qualcuno l’avesse vista.
Al momento della denuncia cosa vi è stato detto?
A mia madre dissero “signora non si preoccupi che sua figlia domani torna a casa”. Si è data fin da subito poca importanza.
Ritiene che ci sia qualche pista che non è stata battuta dagli inquirenti?
All’epoca, quarant’anni fa, non si parlava di piste. Forse bisognava approfondire di più, invece di pensare che si trattasse di una scappatella di una ragazza di quindici anni.
E quando sua madre ha riconosciuto quell’uomo che faceva parte delle guardie del corpo del papa?
Non so se questa avrebbe potuto essere la pista giusta.
Come avete vissuto il momento della telefonata da parte di quell’uomo che ha elencato la marca degli indumenti che Mirella indossava al momento della scomparsa?
Lì c’è stato un colpo al cuore. Era l’unica prova plausibile che qualcuno avesse avuto Mirella, o quantomeno i suoi vestiti. Perché erano proprio gli indumenti che lei indossava.
Marco Accetti si è autoaccusato di aver fatto questa telefonata. Secondo lei ha detto il vero o era solo un modo per attirare l’attenzione?
Potrebbero essere entrambe vere. Un po’ per attirare l’attenzione e un po’ perché magari lui qualcosa sa. Lancia delle pietrine che però poi non hanno riscontro, come è stato per il flauto di Emanuela.
Ha mai incontrato Accetti?
No, non l’ho mai visto di persona.
Quando Giovanni Paolo II ha nominato sia Emanuela che Mirella durante l’Angelus che cosa avete provato?
Per me è stata una brutta sensazione. Nel senso che sentir pronunciare il nome di mia sorella dal papa, perché forse era andata a finire in una cosa più grande di noi, è stato sensazionale a dir poco. Nessuno si aspetta che il papa pronunci il nome di un proprio familiare.
Da quel momento c’è stato l’accostamento con il caso di Emanuela Orlandi.
L’accostamento c’è stato anche dalle varie lettere e telefonate che arrivavano all’avvocato. Da una parte ha dato più visibilità a Mirella, ma se non hanno avuto lo stesso destino la storia di mia sorella è stata un po’ coperta.
Magari, in un certo senso, è stato anche sbagliato accostare le due scomparse.
Questo, purtroppo, non possiamo saperlo.
Secondo lei quale potrebbe essere la pista più plausibile?
È una domanda da un milione di dollari, perché altrimenti sapremmo già dove è andata a finire mia sorella.
C’è un messaggio che vorrebbe mandare?
Che anche dopo quarant’anni, se qualcuno sa qualcosa, anche in forma anonima può sempre parlare e liberarsi la coscienza, per una famiglia che aspetta il ritorno di una figlia e di una sorella.