La quattordicesima domenica del tempo ordinario di Pupi Avati prende in esame due momenti della vita dei due protagonisti, quando si conoscono per la prima volta e quando si rincontrano da adulti. Il ruolo di Marzio è interpretato da Lodo Guenzi e da Gabriele Lavia, quello di Sandra da Camilla Ciraolo e poi da Edwige Fenech. È importante fare i nomi e i cognomi dei personaggi di questo film perché i fratelli Avati (Antonio, produttore cinematografico e sceneggiatore, e Pupi, il regista) non solo hanno insistito per il ritorno in scena di un’attrice che non recitava da più di 7 anni, la Fenech, ma sono anche riusciti a far conoscere al grande pubblico due nuovissimi volti: Lodo Guenzi (meglio noto come frontman dello Stato Sociale) e Camilla Ciraolo. Perché l’abbiamo capito che Favino è leggendario, che sa fare il suo mestiere e che sta bene dappertutto, ma ci sono tanti altri attori e attrici capaci, che semplicemente faticano a ottenere l’opportunità di farsi conoscere. Dopotutto i fratelli Avati hanno sempre avuto le palle di fare quello che volevano, aiutando tanti giovani attori, fra cui un impacciato Stefano Accorsi fresco di liceo, scelto per interpretare una parte in Fratelli e Sorelle nel 1992, a emergere.
Ma La quattordicesima domenica ha anche un altro merito. Pupi Avati è riuscito a parlare di sé senza sbrodolarsi, con una eleganza e una sincerità che pochi altri registi sono stati capaci di dimostrare quando hanno voluto raccontarsi. Perché essere autobiografici senza scadere nella noiosa autoreferenzialità non è facile. Del resto c’è da dire che dal 2022 è venuta la voglia un po’ a tutti di parlare di sé al cinema: Iñárritu, Spielberg, Sorrentino. Eppure, Pupi Avati è l’unico che l’ha fatto guardandosi veramente dall’esterno. “Immagina un drone che sorvola tutta la tua vita che ad un certo punto si ferma ad un preciso istante. Per me si è stoppato al 24 giugno del 1964, il giorno in cui io mi trovai di fianco un essere umano che avevo corteggiato per 4 anni che dice di volermi sposare. Ecco il drone si è fermato lì”. È Pupi a Che tempo che fa che racconta il tentativo di immortalare nel suo film l’emozione del giorno più bello della sua vita. In sala si ha l’impressione di vedere un pezzo di storia di un uomo che, anche quando deve parlare di se stesso, pensa agli altri, agli attori giovani e agli spettatori di tutte le età, a una società fragile, mostrando sul grande schermo un uomo insicuro. Il regista bolognese inscena il suo personale fallimento, quando voleva diventare un grande clarinettista jazz nel gruppo Doctor Dixie Jazz Band, carriera alla quale rinunciò a causa dell’ingresso nella band di un giovane estremamente talentuoso, Lucio Dalla. È come se attraverso questo film Pupi Avati si fosse immaginato cosa sarebbe successo se quel sogno l’avesse inseguito per davvero, anziché passare al cinema.
Ed è bello che ce l’abbia voluto far vedere attraverso le battute di Marzio, un personaggio che vive gli angoli bui della sua vita. Questo è il vero “cinema dei se”, come diceva Moretti. La quattordicesima domenica del tempo ordinario è un film che sa parlare di ambizioni e di insuccessi in chiave estremamente moderna e autentica, che sa farci vedere cosa significa provare ad arrivare in cima alla salita e avere la sensazione d’un tratto che il pavimento stia cedendo sotto i piedi, come quando Sandra, aspirante indossatrice, scopre di essere incinta e prende la decisione di abortire per non perdere l’opportunità di coronare il suo sogno. Lodo Guenzi in conferenza stampa ha detto che fallire una volta capita a tutti, ma fallire due volte in due carriere diverse è da fenomeni. Eppure, proprio lui ha dato prova di essere non solo un brillante cantautore ma anche uno splendido attore. Questo film parla di una moltitudine di fallimenti: di giovani attori che hanno paura di non farcela, di attrici che devono fare i conti con la vecchiaia, di donne che si trovano a scegliere tra il diventare madri e realizzarsi professionalmente, di artisti che vogliono tentare la strada di un’altra carriera, di persone che crescono e hanno nuovi obiettivi. E a intessere le trame di tutte queste singole storie ci sono gli Avati, a dimostrazione che il loro cinema non solo è possibile, ma pure necessario. Caro Pupi, dici di commuoverti ripensando a quello che eri un tempo e che i vecchi tendono a vergognarsi di sé. Ma devi stare tranquillo, perché un artista, se è ancora capace di raccontare delle storie semplici e vere, non invecchierà mai.