Dite al vostro amico un po' hipster e un po' hippie, amante della natura selvaggia e delle Birkenstock, disgustato dal capitalismo e dall'Occidente materialista, che per un bel po' di tempo non potrà visitare il Nepal. Quelli come lui, almeno a leggere i resoconti dei media più autorevoli del pianeta, dal New York Times al Wall Street Journal, l'hanno fatta grossissima: si sarebbero stancati del nepotismo, della corruzione, delle leggi repressive del loro governo e avrebbero deciso di scendere in strada per protestare. Solo che le proteste si sono trasformate in rivolte, ci sono scappati vari morti, e le rivolte hanno lasciato spazio a una guerra civile con tanto di coprifuoco a Kathmandu e dimissioni di premier e vari ministri (non vi scriviamo il nome perché avrebbe poco senso). Dopo aver incendiato il parlamento, edifici istituzionali, hotel di lusso e negozi, i gggiovani avrebbero iniziato a dialogare con l'esercito chiedendo l'istituzione di un governo più democratico eccetera, eccetera, eccetera. È quasi successo qualcosa di simile in Indonesia. Nessuna paura: il vostro amico può ancora volare a Bali e postare immagini mistiche su Instagram. Se non altro perché il governo indonesiano è un po' più solido e caz*uto di quello nepalese. Insomma, dicevamo, anche qui la fantomatica Generazione Z è esplosa: colpa delle indennità esorbitanti ricevute dai politici, notizia lavorata a dovere da qualcuno e fatta rimbalzare sui social . Il finale delle proteste è stato però diverso, visto che la polizia è riuscita a evitare che il presidente in carica potesse dimettersi.

Ricordano qualcosa le rivolte in Nepal e in Indonesia? Ve lo diciamo noi: le “rivoluzioni colorate” che, a cavallo degli anni 2000 in diversi Paesi dell'Europa orientale, del Caucaso e dell'Asia centrale. Il loro obiettivo dichiarato: contestare elezioni truccate e corruzione dei leader in carica. Spesso hanno portato al rovesciamento di governi filo russi o percepiti come autoritari. Preparatevi perché la lista è lunga e ha toccato, con risultati più o meno concreti: Serbia, Ucraina (ne stiamo ancora pagando le conseguenze), Georgia, Kyrghizistan, Bielorussia, Russia, Azerbaigian, Moldavia, Armenia. Nel 2010 è stata la volta delle “Primavere arabe”, cioè rivoluzioni un po' meno colorate esplose in Medio Oriente: Tunisia, Egitto, Yemen, Libia, Siria, Marocco, Algeria, Giordania, Sudan, Oman, Bahrein. In sostanza, mezzo mondo stabilizzato da giovani amanti della democrazia. Ci sono due versioni: quella ufficiale (occidentale) dice che erano proteste democratiche nate dal basso contro regimi corrotti e autoritari; quella alternativa sostiene invece che fossero operazioni di “regime change” orchestrate dagli Stati Uniti o da Ong finanziate dall'estero per destabilizzare governi ostili a Washington e rafforzare l'influenza occidentale in aree strategiche.

Ora date un'occhiata alla mappa dell'Asia e segnatevi i governi rovesciati causa proteste violente, quelli finiti nella mer*a e quelli saltati per vie istituzionali. Di Nepal e Indonesia abbiamo già detto. Aggiungete all'elenco Pakistan, Bangladesh e Sri Lanka, dove i leader in carica – rispettivamente Imran Khan, Sheik Hasina e famiglia Rajapaksa - sono stati spazzati via da proteste o giochi di potere. Da cosa erano accomunati? Erano tutti vicini alla Cina, i loro Paesi avevano aderito alla Nuova Via dell Seta di Xi Jinping e apprezzavano gli sforzi di Pechino per dare voce al Sud del mondo contro l'Occidente. Mettete nella lista anche il Giappone, dove Shigeru Ishiba, primo ministro costretto come tutti i suoi predecessori e successori a essere un alleato degli Stati Uniti, stava mostrando segnali di insofferenza sempre più evidenti nei confronti di Washington, dei dazi e delle richieste bizzarre di Donald Trump (morale della favola: Ishiba si è dimesso dopo aver perso la maggioranza nelle due camere del Parlamento) e la Thailandia, che con la signora Shinawatra si era avvicinata troppo al Dragone (è stata destituita e sostituita da Anutin Charnvirakul, pro monarchia). Non ci sono prove che confermino l'azione Usa in tutte queste crisi, ma casualmente, mentre la Cina stava organizzando un incontro con i leader del Sud del mondo (India e Russia comprese), ecco materializzarsi il patatrac in Nepal, il quasi disastro in Indonesia e il cambio governo in Thailandia e Giappone. Non chiamatele rivoluzione colorate ma forse è il caso di ridimensionare il ruolo dei gggiovani e della Generazione Z.
