Il fisico Carlo Rovelli scrive su Facebook: “No, non sono i nostri nemici che vogliono distruggerci. Sono i rappresentanti legittimi di due miliardi di esseri umani. Una vastissima parte del pianeta su cui i nostri nonni hanno dominato e che hanno a lungo depredato. Non cercano vendetta. Cercano un mondo in cui non siamo più noi i padroni di tutto, in cui non continuiamo a depredare, in cui le nostre armi non dominano tutto, in cui possiamo vivere tutti. Se noi lo capiamo, possiamo vivere insieme. Se continuiamo a pensare che sono i cattivi da schiacciare e contenere, il XXI secolo sarà come il XX.” Il resto lo fanno i sandali.

Il Barbero della fisica italiana, dopo la sparata su Enrico Fermi (grande fisico ma pessima persona, per il suo coinvolgimento nella ricerca che portò alla costruzione della bomba nucleare), torna a occuparsi del suo hobby preferito, la geopolitica in odore di terzomondismo e antiamericanismo, come un Giulietto Chiesa qualsiasi ma meno preparato. Attendiamo un elogio di Dugin, ma per ora dovremo aspettare. In compenso ci dà abbastanza di cui parlare grazie a questo post di plateale infantilismo politico, insomma, qualcosa da liceali impegnati che abbiano appena scoperto, ma che dico Marx, Che Guevara.
I conti tornano: due miliardi di cittadini del mondo rappresentati da quei leader lì. La parte che funziona meno, invece, è credere che quelli siano “rappresentanti legittimi” (e cioè eletti) di tutta quella gente. Non serve sforzare la vista e provare a individuare il dittatore di turno in terza o quarta fila, magari scarsissimo politicamente ma potentissimo economicamente. Basta guardare la Santa Trinità che sfila in testa al corteo, una misticanza di autocrati e dittatori che non passa certo inosservata. A partire da Vladimir Putin, al potere da una trentina di anni grazie a delle elezioni chiaramente truccate, non solo ora, ma già nel 2004, nel 2011 e nel 2012 (e in svariate elezioni federali smontate dal punto di vista statistico: nel 2024, per esempio, Putin potrebbe aver falsificato tra i 22 milioni e i 31 milioni di voti).

Che dire poi di Xi Jinping, da ventidue anni alla guida di un Paese in cui vige una pseudodemocrazia a partito unico (comunista) che impedisce praticamente a qualsiasi organo internazionale di entrare (lo dice Amnesty, non un pericoloso think tank repubblicano), che fa scegliere tutti i principali funzionari della gerarchia al Comitato Centrale e al Congresso nazionale del partito. E Kim Jong-Un è forse un rappresentante legittimo? In Corea del Nord, dove non esistono elezioni se non quella strana messinscena che obbliga chiunque a votare (l’affluenza è sempre intorno al 100%) per l’unico candidato proposto nella scheda (per votare “no” bisogna entrare in un’urna e modificare la scheda, mentre per il “sì” non è necessario scrivere nulla; in questo modo l’autorità governativa sa chi ha provato a ribellarsi e a votare contro). In un altro degli universi possibili forse Rovelli ha ragione e questi leader sono legittimi e i loro cittadini sono liberi, e quei Paesi sono meglio delle nostre democrazie imperfette, zoppicanti e ipocrite. In un’altra dimensione dobbiamo auspicare la rivoluzione culturale cinese o il modello elettorale nordcoreano. In un’altra dimensione i nostri leader politici dovrebbero cavalcare orsi su fiumi ghiacciati e far fuori dissidenti e giornalisti politici (proprio come fa Netanyahu, che giustamente Rovelli critica). Ma non in questa dimensione.
