Ci sono momenti nei quali non si può tacere. E i fotografi piacentini Sergio Ferri e Marco Salami, di fronte alla scena a cui hanno assistito, sono sbottati rendendo la visita di Matteo Salvini nella stazione di Przemyśl, al confine tra la Polonia e l’Ucraina, una contestazione civile che ha fatto il giro del mondo e passerà alla storia. I due, che si trovavano in zona dopo aver deciso di portare un sostegno alle popolazioni che scappano dalla guerra - oltre che per documentare quanto sta avvenendo con i loro scatti – non hanno infatti resistito a quella che, secondo loro, era una operazione decisamente ipocrita del leader della Lega. Cioè di dichiararsi vicino alle persone che cercano una via di fuga dai bombardamenti russi, dopo che in passato aveva pubblicamente e a più riprese sostenuto Vladimir Putin. Il pretesto per urlargli “buffone” o “vergognati”, inoltre, gli è stata data dalle dichiarazioni a sorpresa del sindaco della città Wojciech Bakun, il quale prima si è rifiutato di ricevere Salvini e poi, di fronte ai microfoni dei reporter di diverse testate europee, ha sventolato una maglietta con l’immagine del presidente russo. Un chiaro riferimento alla t-shirt che il leghista esibì al Parlamento europeo nel 2017 dichiarando: “Agli eurocretini che giocano a fare la guerra alla Russia”. Immagini, quelle di oggi, che nel giro di poche ore sono diventate virali. Per questo abbiamo contattato Sergio Ferri, uno dei due fotografi che hanno contestato Salvini, per farci spiegare come mai non ha resistito a fargli notare l’incongruenza del suo comportamento in un momento così drammatico.
Sergio, c’è chi dice che la vostra contestazione fosse preparata. È così?
Assolutamente no. Eravamo lì il giorno prima per portare aiuti e trasportare in Italia alcune persone che stanno scappando dalla guerra. E il giorno dopo, cioè oggi, visto che non parliamo russo o ucraino, eravamo in piazza perché stavamo cercando qualcuno che potesse aiutarci a tradurre. In quel momento ci siamo accorti della piazza transennata e ci siamo avvicinati per capire cosa stesse avvenendo.
E in quel momento è arrivato Salvini?
Abbiamo chiesto alle altre troupe e ci hanno detto che sarebbe arrivato a breve. Per cui non ce lo volevamo perdere. E infatti è arrivato verso l’orario in cui vanno in onda i telegiornali, verso l’una.
Ma sapevate che il sindaco della città avrebbe esposto quella maglietta che ricordava il sostegno di Salvini a Putin?
Macché, anche perché parlava in polacco e noi non conosciamo quella lingua. In più non me ne sono accorto subito, perché ero impallato da una giornalista spagnola. Quando ho visto la maglietta pensavo avesse dei simboli di solidarietà. Però mi è venuto spontaneo dire: “Tira fuori quella di Putin”. Solo dopo qualche secondo, quando ho visto Salvini rabbuiarsi e balbettare qualche parola in inglese, ho notato che sulla maglia c’era effettivamente l’immagine di Putin.
Una coincidenza incredibile.
Sì, davvero. Allora Marco, il mio collega, inizia a dire: “Adesso mettiti la maglietta di Putin”. Mentre io lo seguo, visto che Salvini ha provato ad allontanarsi, e gli dicevo “sei un ipocrita” e poi “buffone”.
Come mai non hai resistito dal contestare Salvini?
Perché secondo me era una situazione vergognosa. Non si può un giorno dire una cosa e il giorno dopo dirne un’altra. Ma soprattutto sciacallare su una tragedia del genere per una convenienza politica. Ha provato a cavalcare questa storia drammatica per rifarsi una verginità, quando fino a qualche giorno prima diceva cose terribili sulle persone che hanno sofferto le conseguenze di altre tragedie, oppure non dava sostegno a chi ha il colore della pelle diverso o bloccava i porti per chi aveva bisogno. Per cui, per me, è un atteggiamento scandaloso. Dovrebbe stare in silenzio e fare una profonda riflessione.
È una scena che, in qualche modo, passerà alla storia.
Tra l’altro c’è una curiosità. Io e Marco (Salami, nda) siamo stati a Pontida nell’ultima apparizione di Umberto Bossi come leader della Lega. E poi sappiamo tutti come finì. E l’altro giorno abbiamo assistito a uno dei momenti, credo, di svolta nella parabola politica di Salvini. Credo che anche nella Lega, dopo questa figuraccia, qualcuno gli dirà che non può andare avanti così. Ma io non condanno mai per principio, si può pensarla diversamente, ma che siano posizioni rispettabili. Sono convinto che molte persone che votano Lega assolutamente in buona fede e con degli interessi da difendere e quella è politica, ma queste scene sono soltanto scandalose.
Tu e il tuo collega siete al seguito di una organizzazione umanitaria?
Noi prima dello scoppio della guerra stavamo facendo un lavoro fotografico in Transnistria, tra Ucraina e Moldavia, con una Ong e che riguardava le donne maltrattate. Ma poi eravamo tornati in Italia. Quando è partito il conflitto abbiamo organizzato una raccolta di beni di prima necessità. In tre giorni, solo con i messaggi Whatsapp tra i nostri amici e conoscenti, abbiamo caricato una macchina di medicinali, latte in polvere e omogeneizzati. Mentre un altro mezzo lo abbiamo messo a disposizione come navetta tra Piacenza e questa zona per portare chi scappa a essere accolti in una zona sicura o si vogliono ricongiungere con i loro parenti. Ma è tutto autogestito.
Quindi anche singolarmente, volendo, si può fare molto.
Chi ha una certa età e ha vissuto l’epoca delle guerra nei Balcani una certa sensibilità l’ha maturata. Si può benissimo organizzare degli aiuti autogestiti. Certo, l’importante è fare attenzione.