Sulla spinta della guerra tra Russia e Ucraina, continua ad aumentare il prezzo del petrolio, e di conseguenza anche quello dei carburanti. L’osservatorio prezzi carburanti, per quanto puntuale, non fa in tempo a registrare i rincari che già ne subentrano degli altri, il tutto partendo da livelli che erano già anomali prima dell’avvio del conflitto.
Nell’ultima settimana il Ministero dello sviluppo economico ha rilevato un balzo di 8,4 centesimi (+4,49%) per il prezzo medio della benzina (da 1,869 euro al litro della settimana precedente a 1,953 euro tra il 28 febbraio e il 6 marzo). Salto ancora maggiore per il gasolio auto, schizzato di 8,9 centesimi (+5,11%) da 1,740 euro nella settimana tra il 21 e il 27 febbraio a 1,829 euro al litro tra il 28 febbraio e il 6 marzo. Oggi il rilevamento parla di 2,105 euro al litro per la benzina (+0,445 euro in sei mesi) e di 1,905 euro per il gasolio (+0,396 euro in sei mesi).
Impressiona il fatto che più di metà del prezzo derivi da imposte: senza Iva (0,352 euro al litro) e senza accise (0,728), pur mantenendo il ricavo industriale (0,143), la benzina costerebbe 0,873 euro al litro, mentre il gasolio (0,330 di Iva, 0,617 di accise e 0,057 di ricavo industriale) un po’ di più, 0,882 euro al litro.
C’è poi un altro aspetto che fa riflettere (e probabilmente arrabbiare): sono stati superati anche i livelli dell’estate 2008, quando il petrolio aveva toccato anche quote più alte. Colpa (anche) dei distributori? Il presidente della Figisc (Federazione Italiana Gestori Impianti Stradali Carburanti) Bruno Bearzi è di tutt’altro avviso.
“Nella formazione di questi prezzi ai massimi c’è una parte rilevante che è dovuta alla tassazione che è più elevata del passato. Probabilmente da parte di qualcuno c’è anche della speculazione legata alla corsa all’approvvigionamento a causa delle tensioni internazionali, con un contingentamento del carburante che inevitabilmente porta per la legge della domanda e dell’offerta a un aumento del prezzo finale. C’è qualcuno che sta facendo il furbo accaparrandosi merce anche con i future e quindi di fatto c’è una mancanza di prodotto virtuale che non può portare che a un aumento del prezzo”.
E i gestori dei distributori?
“Il gestore prende sempre 3,5 centesimi al litro, a prescindere dal fatto che il prezzo alla pompa sia 50 centesimi o 3 euro. Quindi gli aumenti non sono un vantaggio, anzi: per acquisire la stessa quantità di prodotto il gestore deve impegnare molto più capitale rispetto a prima (quindi è molto più esposto) e ha a sua volta un aumento esponenziale dei costi energetici (che rosicchiano il misero margine). Se poi ci aggiungiamo il caro degli erogati dovuto prima alla pandemia e poi a questa questione del prezzo e della guerra si capisce perché molte delle nostre gestioni si stanno avvicinando al default: continuando così le cose una buona percentuale entro fine anno sarà costretta a chiudere”.
Quindi i gestori ci perdono quando il carburante aumenta?
“Siamo quelli che perdono di più: spendiamo più soldi per acquisire il prodotto, ne vendiamo meno con costi estremamente più elevati e con un esiguo margine fisso. A differenza di altre categorie, poi, noi non possiamo riservare sui consumatori gli ulteriori oneri, perché i contratti di settore non ce lo permettono. Per noi è la tempesta perfetta: tutto ciò che non dovrebbe accedere purtroppo sta accadendo”.
Quindi chi gestisce i distributori fa il tipo perché i prezzi diminuiscano?
“Assolutamente: avremmo meno esposizione e sicuramente erogheremmo più litri, il che ci permetterebbe di arrotondare il conto economico”.