Jeremy Clarkson ha sconfitto Elon Musk. Parola di Jeremy Clarkson. L’istrionico giornalista britannico si è preso una rivincita attesa anni sul magnate sudafricano che da settimane sta assistendo al tracollo delle azioni di Tesla. La faida tra i due dura dal 2008, quando ai tempi di Top Gear quando Clarkson stroncò la Tesla Roadster, uno dei primi modelli della casa automobilistica di Musk: “Ho detto che non era affidabile, ed era vero; che era ridicolmente costosa, ed era vero; e che poiché pesava troppo, non si guidava molto bene. Ed era vero”. All’epoca la recensione di Clarkson fece molto clamore, soprattutto perché in quello stesso periodo Musk si presentava agli Stati Uniti come colui che avrebbe portato gli americani nel futuro. La sua azienda cresceva rapidamente, e l’uscita delle prime auto marchiate Tesla era diventato un momento catartico di quel ritualismo consumista tipico del capitalismo statunitense. Un contesto che aveva amplificato la portata delle sciabolate di Clarkson, creando a Musk uno dei primi problemi di immagine: “Musk era molto arrabbiato per questo e ci ha fatto causa per diffamazione, sostenendo che avevo un problema con le auto elettriche e che avevo scritto l'articolo prima ancora di mettere piede in macchina. Ha perso la causa e l'appello, e non se n'è mai veramente ripreso”, ha scritto Clarkson nella sua rubrica sul Times.

“Ho aspettato sulla riva del fiume che il suo corpo passasse. E ora è successo”, continua Clarkson, riferendosi all’immensa perdita finanziaria registrata da Tesla dall’inizio del 2025. Già, perché il crollo del 15 per cento del valore delle azioni della società di auto elettriche di Musk rappresenta una delle peggior performance finanziarie di sempre a Wall Street e pesa come un macigno sul titolo in borsa della società, che ha perso il 45 per cento da inizio anno. Dati che sembrano inversamente proporzionali al sostegno dato a Donald Trump. Da quando Musk è diventato capo del Doge, il dipartimento per il taglio della spesa pubblica del governo statunitense, sembra essere totalmente assorbito dalla sua veste pubblica, a scapito del business di Tesla. Riguardo gli altri interessi privati, sono i discorsi legati ai satelliti Starlink e all’impresa per i viaggi spaziali Space X a tenere banco, proprio perché sono quelli che più potrebbero beneficiare dal ruolo di Musk nell’amministrazione Trump. A questo si aggiunge il gigantesco danno di immagine che le azioni dell’imprenditore milionario – su tutte, il braccio teso – sembrano aver causato all’azienda su cui ha costruito gran parte delle proprie fortune. Se prima Musk era un riferimento per i sostenitori della transizione ecologica e le Tesla rappresentavano in non plus ultra della mobilità elettrica, ora sono divenute una sorta di stigma pubblico, un bene di cui vergognarsi e a cui attaccare adesivi di supplica all’indulgenza: “Ciò che rende la cosa così succosa – della “caduta di Musk ndr – è che viene beccato a morte dalle stesse persone che lo hanno messo sul piedistallo in primo luogo. Gli eco-hippie. I discepoli dei guru delle emissioni zero come Ed Miliband e Al Gore. Amavano la sua idea di auto elettriche alimentate solo da vento e sole e sono svenuti quando ha fornito la sua tecnologia di comunicazione Starlink eco-fresca a quei poveri soldati assediati in Ucraina…”, scrive Clarkson.

Insomma, sembra che le trombe dell’Apocalisse muskiana siano suonate quando Clarkson ha messo le chiappe sulla Tesla Roadster, ormai 17 anni fa, molto prima dall’endorsement a Trump. E che quindi, sostiene il “Jezza” di Top Gear abbandonandosi ad un fatalismo forse un po’ troppo narcisista, ci sia lo zampino delle sue famigerate stroncature sulla presunta caduta dell’uomo più ricco al mondo: “Sono sempre stato scrupolosamente imparziale con le mie recensioni di auto. Musk ha affermato che non lo ero. E questa è la sua ricompensa”.
