Solo nel 2024, il valore complessivo del mercato dei piccoli satelliti – le Kodak dello spazio, più piccoli, economici e sfruttabili di quelli usati nei tradizionali sistemi di difesa – ha superato i 6,5 miliardi di dollari rispetto ai 4,3 miliardi del 2023. Molti di questi rientrano nella costellazione di 7.000 satelliti Starlink, che Elon Musk vuole portare a 42.000 nell’orbita terrestre bassa. Musk, ex finanziatore dei Democratici, ha sostenuto la candidatura di Trump per inseguire la sua personale “rush to Mars”, la corsa a Marte per cui ha intenzione di dispiegare risorse pressoché illimitate. Ma ci sono molti altri attori, in primis ovviamente Pechino, che non stanno certo a guardare, anzi. Lo sbarellare degli equilibri geopolitici mondiali, l’accelerazione tecnologica e la crisi delle democrazie liberali, che ha dato spago al cosiddetto “trilemma di Rodrik” – secondo il quale democrazia, sovranità nazionale e la globalizzazione economica non possono coesistere simultaneamente – sono fattori che hanno contribuito a rendere lo spazio sia un territorio di caccia per le superpotenze che parlano e si muovono da Impero – Usa, Cina e in parte Russia – che una grande opportunità per quei paesi leader wannabe desiderosi di dedollarizzare l’economia mondiale.

Ma dove puntano i lanciatori spaziali delle grandi potenze oggi? Nell’ipotesi di un futuro interplanetario, in cui i confini di ciò che chiamiamo spazio si allontaneranno via via dalla Terra e da ciò che ambiamo controllare, gli obiettivi sono due: la Luna e Marte. Per Musk la prima è un “elemento di disturbo”, un cattivo investimento. Il principale fornitore di razzi della Nasa, l’Agenzia spaziale statunitense che secondo molti sarebbe finita gambe all’aria senza i suoi astrodollari, ha individuato il Pianeta Rosso come destinazione su cui portare l’umanità. Per questo motivo la crescente dipendenza del settore spaziale da Musk e dai suoi lanciatori potrebbe far accantonare progressivamente alla Nasa il programma Artemis, che ha l'obiettivo di riportare l’essere umano sulla Luna e nel quale un ruolo importante è giocato anche l’Agenzia spaziale europea. Per raggiungere Marte, Washington potrà contare sui risultati del razzo parzialmente riutilizzabile Falcon 9 e, soprattutto, su Starship, la vera rivoluzione completamente riutilizzabile i cui test sembrano promettere successo. L’idea di spazio di Trump e Musk è quella della privatizzazione, che potrebbe includere altri player made in Usa come Blue Origin di Jeff Bezos e persino iniziative private, come quella di Jared Isaacman, miliardario e nuovo vertice della Nasa di nomina trumpiana che ha già passeggiato nello spazio – il primo privato a farlo – nel corso di una missione gestita da Space X, con buona pace del conflitto d’interesse.

Dall’altra parte c’è Pechino, che non sta a guardare e anzi, ha messo nei radar proprio il nostro Satellite. Il nuovo programma spaziale cinese punta a raggiungere la Luna entro il 2030 e addirittura costruire una base di ricerca – con la collaborazione di Mosca – entro il 2035. Un progetto che fissa la Luna negli obiettivi di medio termine dell’Agenzia spaziale statale cinese, controllata dal Partito Comunista. La Luna potrebbe diventare un formidabile fattore attraverso cui rafforzare la diplomazia spaziale con quei paesi che di Pechino e della sua tecnologia hanno bisogno, compresi Russia, Paesi del Golfo, India e chissà, forse anche l’Unione europea tagliata fuori dalla “rush to Mars” muskiana. Tutto questo sulla Terra già si intravede. Pensiamo alle decine di partnership che la Cina ha stretto con i governi in Africa, dove il business di Starlink fatica a sfondare, per estendere e rafforzare il proprio programma spaziale. Gli accordi con i governi africani potrebbero diventare cruciali nella sfida al dominio satellitare, fondamentale nell’accesso e la gestione dei dati e per i programmi di sorveglianza civile e militare. In questo l’impressionante costellazione Starlink – 7000 sateliiti in orbita bassa and counting – se la dovrà vedere con i paini dell’Agenzia spaziale cinese e di SpaceSail operatore che sta sviluppando attivamente la mega-costellazione satellitare Qianfan – “Le Mille vele”. Parliamo di 14.000 satelliti, scusate se è poco.

E l’Unione europea? Nella sfida satellitare l’Ue ha lanciato il progetto Iris, un’infrastruttura satellitare che punta a proteggere le infrastrutture strategiche dell’Unione. Ma ciò che continua a rallentare la nostra corsa allo spazio è la mancanza di concertazione tra le agenzie spaziali europee e i finanziamenti insufficienti se rapportati alle cifre monstre dei giganti spaziali. Ultimo ma non ultimo, il ruolo della politica e il rischio di sviluppare nuove forme di dipendenza strategica da attori esterni. Come scrivono gli esperti di spazio Emilio Cozzi e Alessandro Gilli su Ispi: “L’Europa dovrebbe dotarsi di una legge sullo spazio entro il 2025; in questo contesto, l’Italia assumerà un ruolo pionieristico con la prima legge nazionale europea sullo spazio, attualmente in corso di approvazione da parte del Parlamento”. Proprio questa settimana la Camera dei deputati ha approvato il cosiddetto “ddl spazio”, che punta a ridisegnare le regole dell’economia spaziale e a normare il ruolo dei privati fornitori di satelliti. “Musk da tempo lavora al suo monopolio”, sostiene l’opposizione, secondo cui appaltare il controllo delle comunicazioni a privati equivale a svendere a la propria sicurezza nazionale. Ma pretendere indipendenza da quest’Unione europea pare ormai più complesso che chiedere la Luna.
