Per Fabrizio Corona il libro su Chiara Ferragni di Selvaggia Lucarelli “non vale nulla” e, in particolare, sarebbe tutto un copia e incolla. Per Selvaggia Lucarelli, invece, e lo scrive sul Fatto quotidiano, la differenza tra lei e l’ex paparazzo è un’altra: mentre Il vaso di Pandora è il racconto di un’inchiesta sulle false beneficenze, le puntate di Falsissimo sarebbero un gradino sotto al gossip: “La modalità con la quale sta portando avanti il suo progetto (che è essenzialmente fare soldi sputtanando chiunque), sembra non essere di alcuna importanza. E così, viene battezzato ‘gossip’ ciò che viene divulgato con violenza, ignorando la legge in materia di diffusione di registrazioni o conversazioni private”. Il problema le sembra di natura deontologica, a voler essere generosi: “Il suo ritorno sulla scena mediatica suggerisce molta compatibilità con antiche abitudini: frequentare i tribunali. Sono ormai più di due anni che Corona occupa massicciamente TikTok, YouTube, Instagram, Telegram e saltuariamente anche la stampa nazionale. E lo fa nei modi più spregiudicati e aggressivi, come di consueto, contando su un clima di impunità generale”. E il motivo sarebbe semplice: “Nonostante un passato da criminale recidivo, in fondo, per una parte di pubblico e per quasi tutti i giornalisti è un simpatico bad boy, uno spavaldo guascone che ci fa divertire”.
Ma resta il problema dei “toni dell’aggressione verbale, dell’insulto, del body-shaming, del sessismo. Nessuno, in questi giorni, al di là della questione becera delle corna di Fedez o di Chiara Ferragni, ha sollevato il problema. Anzi. Il Corriere della sera ha rilanciato in homepage la presentazione del libro di Corona in cui lui dice: ‘Chiara Ferragni ha fatto vedere anche i buchi del cul.., con la diffida del suo avvocato mi ci pulisco..!. Sul Domani si legge che Corona è ‘autorevole’ e le sue sono cose ‘frivole, raccontate bene’. E così via. Il fatto che Corona in quel video abbia pubblicato conversazioni telefoniche e via chat dell’ormai nota Angelica (che non era famosa e non cercava visibilità), abbia raccontato particolari della vita sessuale di una ex di Fedez con tanto di nome e cognome (non voleva scopar.., gli faceva solo le seghe…’), il fatto che abbia deriso un ragazzo sconosciuto con tanto di foto perché cornuto facendolo diventare lo zimbello del web, il fatto che insulti con epiteti quali ‘cicciona’, ‘stronza’ e così via, è irrilevante. Tutto condonato. Ma di condonato c’è molto di più, e ai giornalisti che lo celebrano come genio della comunicazione, fa molto comodo non vedere”. Mic drop (e ci scusiamo per la lunga citazione). Il punto è un po’ questo: il problema non è il business in sé, perché Selvaggia Lucarelli stessa, ma anche Aldo Cazzullo o Andrea Scanzi, tutte le firme più note dell’informazione italiana hanno costruito intorno al loro lavoro una fonte di guadagno ben al di sopra delle aspettative di un semplice giornalista; ma il modo in cui viene costruito, il metodo, il modello. Davvero ognuno di questi business personali vale come gli altri?
Lucarelli definisce il piccolo impero di Corona “il suo business di scommesse online” che si allarga grazie a gente che sottoscrive abbonamenti o ricondivide i post in cambio di “particolari sull’orientamento sessuale di calciatori” per esempio. O su commenti disinibiti sulla vita privata e a letto di personaggi famosi: Qualche giorno fa, in un podcast, parlava dell’argomento ‘Melissa Satta spompa i fidanzati’ affermando che lei non spompa nessuno ‘perché non è capace, me lo hanno detto tutti quelli che ci sono stati… Vieri la tradiva perché era inchiavabile’”. E la cosa è ricorrente. A volte, per via delle sue parole in libertà, gli scoop diventano processi ai suoi danni: “Sempre per non farsi mancare nulla, Corona ha in piedi decine di nuovi processi per i reati più svariati”. Esempio: “A gennaio 2024 è iniziato quello per tentata estorsione. Secondo l’accusa, avrebbe ricattato una donna che pretendeva di riavere indietro da lui dei soldi. Corona, scrive il pm, l’avrebbe minacciata ‘larvatamente’ di ‘divulgare video che li ritraevano in atteggiamenti intimi’, se lei gli avesse fatto causa”. Insomma, pare che lui, convinto di non avere nulla da perdere, abbia scelto di reinventare il gossip slegandolo da qualsiasi regola sulla privacy, la dignità delle persone, l’aderenza alla verità, lo stile espositivo giusto. Il gossip, che da sempre ha avuto i tratti della narrativa, ora diventa un’arma di terrorismo social. “Morale: il suo grande talento di comunicatore – casomai i giornalisti che lo celebrano non lo avessero capito – è poter dire quello che vuole, insultando, bestemmiando, diffamando, intimidendo (nel mio caso da giorni racconta ai microfoni qual è il luogo di lavoro di mio figlio, che è un semplice cameriere) e passando sopra alla vita di tutti. Del resto, è un simpatico guascone”. Forse apprezziamo la sua disinibizione in una società freudiana, in cui ci siamo convinti di vivere tutti a redini strette. Ma davvero c’è qualcosa per cui complimentarsi?
Il giornalismo indubbiamente sta cambiando. Non si vive di un articolo a settimana né di cronaca locale. Si vive di altro, soprattutto se si vive a Bologna, Roma, Torino o Milano. Si vive di libri, newsletter a pagamento, podcast, programmi televisivi. Si vive, da giornalisti, oltre il giornalismo della carta stampata. È come va il mondo. Abbiamo fatto degli esempi virtuosi. La pacata gentilezza divulgativa di Aldo Cazzullo, il politicamente scorretto di Andrea Scanzi, l’ironia di Selvaggia Lucarelli. La differenza è che si resta dentro al perimetro di un comportamento professionale che nulla ha a che vedere con la spettacolarizzazione della vita privata altrui. Forse davvero Corona ha reso l’attesa del piacere, cioè dello scoop, il piacere stesso. Ma lo ha fatto attraverso la via più breve. Può sembra geniale calpestare il campo coltivato invece di fare tutti i tornanti della strada. Ci sembra di tagliare. Un video che gira online in questo periodo mostra un ciclista che tenta la furbata; il problema è che quei tornanti non sono stati fatti perché l’urbanista si era fumato qualcosa, ma perché i campi erano dissestati e avanzando c’erano buche e fossi. E il ciclista è caduto. Morale: forse la strada più breve non è la migliore. Ce ne siamo dimenticati, perché invece i social funzionano proprio in velocità, in costante accelerazione. Eppure chi di noi direbbe che i social sono il modello di civiltà, educazione, comunicazione che desideriamo? Certo, per chiedere il prosciutto alla gastronomia del supermercato possono bastare i novanta secondi richiesti affinché Instagram ti permetta di sponsorizzare un reel. E poche parole chiave, degli hashtag, ti permettono di associare fatti diversi nella tua testa. Ma dubito che vorremmo vivere in un mondo fisico pieno di leoni da tastiera, un far west in cui campa meglio chi fa campare peggio gli altri.
C’è anche un discorso meno pratico, ma ugualmente importante. Forse Corona dice la verità. Tutti i giornalisti possono commettere degli errori (anche se non tutti poi ammettono di essersi sbagliati). Il problema è che non tutte le verità hanno lo stesso valore. Le verità personali valgono pochissimo rispetto a una verità socialmente utile. Che Chiara Ferragni abbia tradito Fedez con Achille Lauro o che Fedez abbia tradito Chiara Ferragni con Angelica Montini, vale meno del pandoro gate, della falsa beneficenza ai danni dei consumatori. Anche perché lì c’è una spesa, un esborso, che invece l’interesse morboso per la vita privata dei Ferragnez spiattellata sui social non richiede. Nessuno vi truffa, neanche Fedez e Ferragni nel caso in cui la loro storia si dovesse rivelare falsa. Marco Travaglio si è rifiutato per molto tempo di far pubblicare sul Fatto quotidiano notizie di gossip. Forse è un’esagerazione, ma la sua idea era che l’unica casa di cui dovrebbe fregarci qualcosa è quella della politica e cioè il Parlamento; non il Grande Fratello, non la villa di Totti. In un’epoca ipergossippara forse dovremmo tornare a questa intuizione.