Siamo a Roma. Nella notte tra il 5 e il 6 Luglio, a Borgo Santo Spirito, una parallela di Via della Conciliazione, l’auto di Pietro Orlandi è stata danneggiata. Tutte e quattro le gomme sono state squarciate. Un’azione mirata: la monovolume era correttamente parcheggiate ed è l’unica ad essere stata vandalizzata. Un’azione che potrebbe essere definita una minaccia, o un’intimidazione, da mano per il momento ignota. Pietro ha sporto denuncia al commissariato di Piazza Cavour che ha aperto le indagini. Emanuela Orlandi è scomparsa da quarant’anni, un arco di tempo esageratamente lungo, in cui le minacce ricevute nemmeno si contano più. Mitomani, lettere, telefonate e chi più ne ha più ne metta. Il tutto per il semplice di gusto di farlo, infierendo su un dolore senza fine. Eppure, fino a questo momento, si era trattato solamente di parole. Adesso, qualcosa è cambiato.
Sicuramente non è accaduto per caso, e di certo dietro si cela una certa preparazione. Pietro è stato seguito e le sue abitudini studiate. Un’escalation, un avvertimento che arriva dopo mesi in cui non si è fatto altro che gettare fango sulla sua persona. Tanto accanimento verso chi lotta solo per ottenere verità e giustizia, e se queste sono le conseguenze vuol dire che in qualche modo non è così lontano dal capire cosa è accaduto in quel lontano 22 giugno 1983 a sua sorella Emanuela, colpevole, a quanto pare, solo di essere una cittadina vaticana. La macchina del fango nei confronti di Pietro Orlandi è iniziata dopo le dichiarazioni su Wojtyla, parole in realtà pronunciate da Marcello Neroni, ex sodale di Enrico De Pedis, boss della Banda della Magliana, a proposito del presunto coinvolgimento di Giovanni Paolo II nella scomparsa della quindicenne. Una minaccia, anche questa, destinata a cadere nel vuoto. Chiunque sia stato non ha di certo fatto i conti con un fratello disposto a tutto pur di arrivare alla verità.