22 giugno 1983, Emanuela Orlandi scompare apparentemente nel nulla senza lasciare traccia. Cittadina vaticana, quindici anni appena e tutta una vita davanti. Da quel giorno sono trascorsi quarant’anni, un tempo in cui la storia della sua sparizione si intreccia, talvolta per puro caso, alla vita di tante altre persone. E’ quanto accaduto a Tommaso Nelli, giornalista, che durante il periodo degli studi universitari iniziò ad interessarsi alla scomparsa di Emanuela, arrivando poi a pubblicare nel 2016 il libro più completo che finora sia mai stato scritto su questo mistero, “Atto di dolore”. Noi di MOW lo abbiamo intervistato, ripercorrendo insieme a lui tutti i momenti che hanno reso possibile la pubblicazione del suo libro. Dalla tesi di laurea sperimentale su Emanuela, all’incontro con le persone che la conoscevano e che facevano parte della sua vita, fino alla consultazione degli atti conservati in Procura. Circostanza in cui si imbatte in un documento del S.I.S.De. (servizi segreti italiani), relativo alla scomparsa di Mirella Gregori, il cui contenuto da solo potrebbe essere sufficiente per riaprire l’inchiesta sulla quindicenne scomparsa sulla via Nomentana nel maggio del 1983. Poco più di un mese prima di Emanuela. Documento che invece è stato ignorato dalle autorità competenti: “Mirella in termini di ricerche è sempre stata penalizzata dall’accostamento con il caso di Emanuela, quasi come se fosse un satellite statico del pianeta Orlandi. Su di lei è stato veramente fatto poco, abbandonata a sé stessa e confinata nell’oblio”. E ci confida quella che secondo lui potrebbe essere la pista più plausibile da seguire…
Com’è nato il tuo interesse per la scomparsa di Emanuela Orlandi?
Durante il periodo universitario, studiavo giornalismo alla Sapienza di Roma. Era l’inverno del 2008, acquistai un libro sul caso. Ne avevo sempre sentito parlare, ma ne sapevo come qualunque altro cittadino. Letto questo libro, mi si aprì davanti agli occhi un mondo.
Riuscì a smuoverti qualcosa dentro?
Sì. Non riuscivo a capacitarmi come fosse possibile che una ragazzina di quindici anni potesse scomparire così nel centro di Roma. Sparizione che poi nel tempo si trasforma in un mistero che arriva a coinvolgere i servizi segreti di paesi stranieri, la tesi del terrorismo internazionale. L’anello di congiunzione mi mancava. Poi a quel tempo frequentavo le stesse zone in cui Emanuela scomparve, anche questa circostanza incise sul desiderio di saperne di più.
Hai incentrato la tua tesi di laurea proprio su questo.
Sì, ho avuto l’opportunità di scrivere la tesi sulla scomparsa di Emanuela Orlandi. Feci un lavoro sperimentale, anche perché di materiale come giornali o libri ce n’era ben poco. Mi interessai a capire chi fosse realmente Emanuela, parlando con le persone che l’avevano conosciuta. E, naturalmente, su quanto accadde il giorno della scomparsa. Dopo la laurea, collaborando con alcune testate, ho continuato a scrivere di Emanuela.
Poi è arrivato il libro che hai scritto su di lei, “Atto di dolore”.
Raccogliendo informazioni su informazioni sono arrivato, nel 2016, a pubblicare il mio libro. Nel raccogliere il materiale, ho consultato un cospicuo numero di documenti. Ho letto gli atti giudiziari sulla scomparsa conservati in Procura, sull’attentato al papa e sulla Banda della Magliana.
Ti sei imbattuto in qualcosa di particolare consultando questo materiale?
Sì, oltre al materiale su Emanuela, anche in un documento del S.I.S.De. (servizi segreti italiani) relativo alla scomparsa di Mirella Gregori. Quando lo lessi, saltai letteralmente dalla sedia.
Perché? Cosa c’era scritto?
Fa capire che la migliore amica di Mirella, Sonia De Vito, potesse essere al corrente di informazioni sulla persona dalla quale si diresse Mirella il giorno che scomparve. Sonia, parlando con un’altra ragazza, pronunciò queste parole: “Noi non lo conoscevano, lui ci conosceva. Come ha preso Mirella poteva prendere me”. Un documento che non è mai stato approfondito nonostante sia molto importante. Sonia non è mai stata convocata per ulteriori accertamenti, non averlo fatto è stata una grave mancanza.
Cosa hai fatto dopo averlo scoperto?
Al tempo stavo scrivendo il libro su Emanuela, ero tentato di inserire anche questo documento, ma per dargli il giusto risalto preferii pubblicarlo separatamente sulla testata per cui lavoravo, Cronache & Dossier, qualche mese dopo la pubblicazione del libro. Per concentrare l’attenzione solo su quelle informazioni.
Quale fu la reazione?
Nessuna, non ci fu nessun interesse da parte degli organi inquirenti. Questo documento rappresentava l’occasione ideale per far si che si iniziasse a indagare singolarmente su Mirella Gregori, che in termini di ricerche è sempre stata penalizzata dall’accostamento con il caso di Emanuela. L’ha trasformata in un satellite statico del pianeta Orlandi. Su Mirella è stato veramente fatto poco, abbandonata a sé stessa e confinata nell’oblio.
Tornando alla scomparsa di Emanuela, cosa ne pensi della pista inglese? Ipotesi che vorrebbe Emanuela tenuta nascosta a Londra per diversi anni.
Che è un binario morto, perché non sono vere le spese che la Santa Sede avrebbe sostenuto per l’allontanamento di Emanuela. Quei cinque fogli che uscirono nel 2017 sono farciti di errori che squalificano la loro attendibilità.
Quali errori?
Il nome del destinatario è scritto in maniera sbagliata, alcuni nominativi presentano degli errori nella dicitura, manca la firma a mano dell’estensore, in questo caso il cardinale Antonetti. I fogli poi non riportano l’intestazione.
Non potrebbero essere errori voluti per indurre a credere che si tratti di un falso?
Non credo, per me è un documento falso. Nonostante sia stato conservato in Vaticano. La stessa cosa accade in Procura, dove ci sono diverse lettere che indicano la presenza di Emanuela prima in un posto e poi in un altro. Lettere custodite in un luogo ufficiale, che però contengono informazioni false. Bisogna sempre guardare al contenuto.
Oltre a questi famosi cinque fogli, che collocherebbero Emanuela a Londra dopo la scomparsa, c’è anche una lettera tra l’Arcivescovo di Canterbury e il cardinal Poletti a dare manforte alla pista inglese. Cosa ne pensi?
Per piacere, chi l’ha scritta si vede proprio che l’inglese non lo conosce. Un inglese maccheronico, un foglio in carta semplice e il diretto interessato ha smentito che sia stata scritta da lui.
Sarebbe stato strano il contrario.
Questo ovviamente, però ha dichiarato che la firma era la sua ma non il testo. Se l’Arcivescovo avesse davvero voluto parlare di un argomento così importante, con una persona appartenente al suo stesso rango, avrebbe cercato di non lasciare tracce. Una lettera è una traccia. L’Arcivescovo chiede un incontro al cardinale, è accertato che Poletti in quei giorni fosse a Londra?
C’è da considerare anche l’indirizzo a cui è stata spedita, lo stesso presente nei cinque fogli, dove Emanuela avrebbe alloggiato per diverso tempo.
Indirizzo che nei cinque fogli tra l’altro è scritto male. Altro errore. Poletti poi, in una struttura del genere? Non corrispondeva proprio al suo stile di vita. Stiamo parlando di un ostello dall’ambientazione frugale.
C’è un’ipotesi che vorrebbe Emanuela rapita dalla Banda della Magliana e riconsegnata al Vaticano da Sabrina Minardi, amante del boss Enrico De Pedis. Cosa ne pensi dei suoi racconti?
La Minardi, nel decreto di archiviazione della Procura, è definita come un personaggio del tutto inattendibile. Le sue deposizioni sono all’insegna delle contraddizioni, di una complicata collocazione nella realtà. Partendo dal presupposto che Sabrina Minardi non saprebbe il motivo per cui la Banda della Magliana avrebbe rapito Emanuela. A dirlo è lei stessa. Dalle intercettazioni telefoniche è emerso quanto lei cercasse di ottenere solo visibilità e denaro. Si mise addirittura in contatto con Don Piero Vergari, ex rettore della Basilica di S. Apollinare, perché sperava di ottenere una casa dal Vaticano pagando un affitto irrisorio. Si potrebbe scrivere un libro solo sulla Minardi, non ne mette a segno una.
Qual è secondo te la pista più plausibile?
Sicuramente riguarda l’ambiente di provenienza di Emanuela. Credo che siano coinvolte personalità di rilievo, che siano ecclesiastici o laici (tipo diplomatici) questo non lo so. Però, vista la reticenza del Vaticano per quarant’anni, questo rifiuto a collaborare con le autorità italiane, è presumibile che qualcuno del Vaticano abbia a che fare con questa storia. Ho riscontrato di persona che amiche di Emanuela ancora oggi non ne vogliono parlare. Sue coetanee, che trascorrevano con lei il proprio tempo libero. Al solo sentire il nome di Emanuela alcune persone mi hanno cacciato, quando io volevo soltanto chiedere il loro ricordo di Emanuela.
L’omertà la fa ancora da padrone.
Avvicinarsi alla storia di Emanuela è come avvicinarsi ai fili dell’alta tensione. A maggior ragione questo mi porta a pensare che la soluzione abbia a che fare con il suo ambiente di provenienza.
Secondo te che ruolo ha ricoperto Wojtyla nella scomparsa di Emanuela?
Quando andò a trovare la famiglia Orlandi, nel Natale del 1983 sei mesi dopo la sparizione di Emanuela, disse che si trattava di un caso di terrorismo internazionale. In base a quali elementi pronunciò questa frase? Affermazione pesante, poi smentita. La pista del terrorismo fu definita solo un depistaggio. Wojtyla, come Ratzinger, hanno anteposto la ragione di stato alla verità su Emanuela, con un atteggiamento di reticenza ed omertà. Wojtyla rilasciò appelli pubblici dopo la scomparsa, però un vero contributo da parte del Vaticano è sempre mancato.
La prima inchiesta interna è arrivata “solo” ora dopo quarant’anni.
Voluta da Bergoglio e dopo la morte di Ratzinger. Si è differenziato in questo rispetto ai suoi predecessori.