La guerra contro l'Ucraina è cominciata verso fine febbraio, quando Vladimir Putin ha dato avvio all'invasione su Kiev. In realtà, si tratta di un conflitto che procedeva da anni, senza però mai arrivare a un'esplosione così violenta e rischiosa per il mondo. Il Direttore di MOW Moreno Pisto, è riuscito a contattare un italiano, Samuel (lo chiameremo così per non rivelarne l'identità), residente nella città di Sanremo e che dal 2015 si è recato più volte in Donbass per dare il proprio sostegno militare al popolo ucraino, come volontario. Ora l'uomo vorrebbe tornare al fronte, ma non gli è possibile per via di alcuni problemi di salute. In compenso, le sue parole, andate in onda nel servizio della trasmissione Zona Bianca ieri sera, domenica 1 maggio, dipingono una realtà inedita e di prima mano su cosa significhi fare la guerra oggi, per altro con pochissimi mezzi a disposizione: "Ci sono andato perché avevano bisogno", spiega Samuel. Inoltre, non ha buone speranze per il futuro: "Anche qui in Italia, la mia impressione è che stiamo vivendo un'invasione passiva, che presto si trasformerà in attiva. Spero di sbagliarmi ma ho pochi dubbi: dobbiamo stare pronti". Tra italiani che si schierano coi filo-russi per 400 dollari al mese, il gelo con le notti sotto zero passate a difendere la linea di confine, americani "un po' pirlotti" e quei "figaccioni" delle Brigate Azov, c'è anche spazio per la volta in cui ha dato fuoco a un intero campo per detonarne le mine ("ha continuato a bruciare per tre giorni di fila", racconta). Storie di guerra che sembrano anacronistiche nel 2022. E invece sono realtà. Realtà raccontate, in esclusiva, dalla viva voce di chi nelle zone calde del conflitto ci ha combattuto davvero. Qui l'ntervista integrale.
Come andrà a finire?
Prevedo che ci saranno problemi. Del resto, il mondo si è già diviso: Putin ci ha portati indietro di 40-50 anni. Indietro fino alla Guerra Fredda. Perché anche se dovesse finire domani, ti rendi conto che casino che ha combinato? Ha separato i popoli anche dal punto di vista del turismo e del commercio. E adesso? Cosa succederà dopo? Non si rende conto neanche lui del macello che ha fatto. Lui pensava - ed è vero - di andare lì e concludere tutto in pochi giorni come aveva già fatto in altri Paesi. Stavolta non è andata così perché gli ucraini non sono gli altri. Gli ucraini hanno detto: “Questa è casa nostra, o ci butti fuori morti o non ci butti fuori”. E se anche Putin dovesse vincere del Donbass, avrà sempre una guerriglia che andrà avanti per anni.
Quando si dice che questa guerra va avanti da 8 anni… In realtà c’è stata una tregua nel mezzo?
Ci sono state delle tregue intermedie perché non è che siano stati 8 anni di fila. Però si è trattato di tregue molto corte. Anche a noi avevano detto: “C’è la tregua” e quella notte lì hanno bombardato più delle altre. Menomale che c’era la tregua! Se non c’era, cosa facevano?
E la brigata Azov?
Allora, la brigata Azov… Noi li chiamiamo un po’ “i figaccioni”. Perché un mio amico era andato a visitarli e davano quella impressione. Però dopo loro sono entrati a far parte regolare dell’esercito. Non erano irregolari. Scusa se salto di palo di in frasca ma tengo a sottolineare una cosa: si parla tanto di nazismo, io sono arrivato nel 2015 e una volta lì ho dovuto cercare l’ufficio d’ingaggio dove ho risposto ad alcune domande e ho conosciuto gente normalissima. Sono andato poi in un’altra città dove c’era un centro di smistamento molto più grosso e sono rimasto qualche giorno mentre loro prendevano informazioni su di me, si sa: chi è questo, se sta scappando dalla polizia… E insomma, mentre ero lì ho incontrato questi ragazzi coi loro slogan neonazisti. Mi sono chiesto: “Oddio, dove sono capitato?”. E invece quelli dell’ufficio mi hanno detto: “Non ti preoccupare: questi sì, erano in piazza Maidan l’anno scorso, ma di qui non si muovono. Li lasciamo qua, li tolleriamo, perché non danno fastidio a nessuno”. Sono andato poi alla caserma, passando ancora qualche giorno là per ulteriori controlli. Se vai oggi ti prendono subito perché hanno bisogno, ma prima non era così. C’era un mondo militare in piena regola: non è che vedevi ubriachi in giro, nessuno beveva vodka o cose del genere… perché se no ti sbattevano in una cantina e prima ti sacagnavano di botte. Quello che succedeva al fronte era questo perché dovevi essere una persona più o meno normale. E questo riguarda anche l’essere fascisti, nazisti o cose del genere. Io ero nei Paracadutisti nell’81 e ci chiamavano fascisti. Ma ti rendi conto? Non aveva senso. Lì è la stessa cosa adesso. C’è una piccola percentuale di gente, tutti giovani, che fa questi slogan ma più che altro perché vuole sentirsi parte di qualcosa. Ma lì rimangono e non fanno un cacchio. Non vanno al fronte perché si cagano sotto: quella del nazismo è una balla che si stanno inventando a tutto spiano. È una cosa che mi fa incazzare dall’inizio.
Tu perché combatti?
Intanto posso dire che se non avessi problemi di salute, sarei lì a combattere perché ne hanno bisogno. E poi combattere fa parte della mia natura, o ce l’hai dentro o non ce l’hai. Tutto il resto viene dopo.
La tua prima volta in Donbass è stata nel 2015. Come ci sei arrivato?
Mi ha chiamato un amico che mi ha detto: “Guarda, se vuoi venire ad aiutare, c’è alto rischio però hanno bisogno”. Io ci ho pensato qualche giorno, poi ho detto va bene anche perché avevo visto che l’Europa era dalla parte dell’Ucraina. Mi ha mandato l’indirizzo dell’ufficio di Kiev. Ho preso l’aereo, sono partito. Lì ho fatto la mia prima piccola intervista e mi hanno mandato in un’altra città dove c’era un altro centro e son stato lì un paio di giorni mentre raccoglievano informazioni su di me: che non fossi scappato dalla polizia, un ricercato ecc… Un primo screening, insomma. Dopo un paio di giorni mi hanno fatto un biglietto dell’autobus e mi hanno mandato in una caserma vera e propria. Lì sono stati altri tre giorni, forse, al massimo quattro. Ancora, mi hanno fatto altre domande, screening, visite per vedere se fossi in salute o meno. A fine settimana mi hanno portato all’autobus dicendomi: “Sali, ti aspettano all’arrivo”. Un viaggio di 8-10 ore.
Eri da solo?
Sì. Nel senso che gli altri sull’autobus erano passeggeri normali, eh? Quando sono sceso, c’era la camionetta militare. Mi han preso e mi han portato su al primo posto, dove ho incontrato il mio amico che mi aveva proposto di andare. Una cosa divertente è che, per tradizione, quando uno arriva lì per la prima volta, deve prendere la bomba a mano. L’ho presa, l’ho messa in tasca ridendo. Sai, le solite cazzate che si fanno. Tanto ovviamente c’è una sicura e non succede proprio niente. Da lì in poi siamo andati all’avamposto vero e proprio, però quell’anno lì, e parlo del 2015, era tutta una guerra di bombardamento. Noi tenevamo la posizione, loro dall’altra parte chissà dove cacchio erano perché non li ho mai visti e le bombe arrivavano, però. Era un continuo, giorno e notte. Specialmente di notte.
Avevi già combattuto prima?
Io avevo combattuto all’estero, da altre parti. Però parlo di combattimento non a livello come c’era lì. Le mie esperienze precedenti erano di guerriglia, via.
In che zone?
Non importa. Posso dire però di aver rifiutato di combattere in Sud Africa anche se avevano bisogno perché c’era un po’ di casino. Mi avevano offerto di andare a combattere lì per Gheddafi. Ma ho rifiutato nettamente perché prima di tutto sarei stato contro gli americani, era una buona offerta. Ma ho risposto: “Non se ne parla nemmeno”. Comunque, tolto quello, torniamo all’Ucraina che è ciò che mi interessa ora.
A proposito di americani: ne hai visti in Ucraina? È vero che dietro ai soldati ucraini ci sono gli americani?
Diciamo che allora io ne ho visti solo un paio. Ce n’erano due che son venuti lì: si chiamavano marines ma sinceramente erano un po’ pirlotti.
Erano istruttori? Avevano ruoli apicali?
Ma no, erano lì con noi e facevano le stesse cose. Poi se erano lì per raccogliere informazioni o perché ci credevano… non lo so. In quel mondo lì non è che puoi sapere chi è chi.
Certo.
Quello che posso dire è che nel 2015 era tutta una guerra di bombardamento. Noi avevamo carri armati che si spostavano giorno e notte perché non potevano restare fermi, naturalmente.
Dov’eri?
Ero vicino a Pieskie, la cittadina con l’aeroporto che avevano bombardato di brutto per più di sei mesi. Ci sono stato lì perché volevano cercare di fare un tunnel per raggiungere l’aeroporto. E difatti ci bombardavano per cercare di stanarci. Questo è stato il mio battesimo del fuoco sul posto. Prima non mi conoscevano, da quella volta mi hanno sempre portato in pattuglia e ovunque.
Che armi avevate allora?
Noi usavamo più che altro gli AK-74. Meglio perché le pallottole sono più leggere:ne puoi portare in giro tante e ti pesano meno. Al primo turno non ho mai sparato, meno che al poligono: non ce n’era ancora bisogno, i carri armati erano chissà dove. Il nostro obiettivo quando facevamo pattugliamento in mezzo alla boscaglia, era di trovare le posizioni. Di solito ci vedevano loro prima di noi, difatti ci sparavano. Chi di dovere ci aveva insegnato le coordinate e questo era il nostro lavoro in quel periodo. Poi si controllava la gente: siamo andati anche in paesi limitrofi di notte a fare controlli. È successe anche una cosa abbastanza divertente per noi…
Cioè?
Siamo andati in questo paese dove ci avevano portato i cosiddetti servizi segreti che noi abbiamo nominato subito Adidas Company perché, minchia, tutti vestiti mimetici ma con le Adidas bianche… dai, non è possibile! Comunque, siamo andati in questo paese, proprio abbastanza nell’interno di una zona che sapevano essere separatista, ovvero dove c’erano i filo-russi. Era chiaro perché appena passavi, prendevano i telefonini e avvisavano chi dovevano avvisare. Comunque ci hanno fermati in questo campo enorme, a tre di noi - eravamo cinque in totale - hanno detto: scendete di lì, chiunque passa prendetelo prigioniero. Peccato che dopo il fiumiciattolo, ci siam trovati dentro una palude. Non è stato facile uscire fuori…
E come hai fatto?
Eh, piano piano, passo dopo passo. L’unica cosa è che mi dicevo: “Minchia, speriamo che non sparino adesso perché… dove vado? Posso buttarmi in mezzo all’erba ma lo sanno dove sono, mi vedono”. Invece per fortuna ci è andata bene e siamo arrivati dall’altra parte del campo. Nonostante il freddo che faceva, il kalashnikov per fortuna spara sempre.
Quanto sei stato la prima volta?
Un paio di mesi, non di più. Non stavo mai di più perché, oh, dovevo tornare a casa a lavorare. Lì era gratis. Eri volontario quindi l’unica cosa che ti davano era da mangiare o le armi, nient’altro.
Ma perché sei andato lì? Nessun guadagno e alto rischio… Cos’è che ti ha spinto a partire?
Prima di tutto, avevano bisogno. Come hanno bisogno adesso, anche oggi ci sono tanti volontari che vanno. Mica li stanno pagando! C’è chi mette in giro voci stupide, tipo quella per cui i volontari sarebbero pagati 2000 dollari al giorno, ma dove la vanno a prendere queste stronzate? Innanzitutto, non li hanno quei soldi lì e poi… va beh, chi va lì, ci va perché li sta aiutando.
C’è qualcosa che ti muove a livello politico? Vuoi difendere l’Europa, l’Occidente?
No, niente politica. Anche se l’Europa è una cosa diversa perché è casa mia e allora io la difendo a spada tratta se ci entri. Tranquillo che ne esci a gambe stese. La gente non si rende conto ma questi o li fermiamo lì, oppure vengono a sparare qui. Sono convinto al 100% che fossero stati aiutati molto di più subito, la guerra si sarebbe fermata all’inizio, nella prima settimana o al massimo 10 giorni.
Com’erano le case?
Guarda, io quando sono andato lì, sono tornato indietro di non so quanti anni. Neanche da bambino avevo visto delle case così. Parliamoci chiaro: per andare al cesso, avevano ancora il buco fuori dal giardino con due lamiere intorno. Una zona davvero poverissima. Invece andare a Kiev è come essere a Torino o a Milano. Stessa cosa.
La seconda volta dove sei stato?
A Marinka, un’altra cittadina sempre nel Donbass. A nord di Mariupol.
E come ci sei arrivato?
Una volta che sei stato lì, loro diventano come amici fraterni. Allora ti viene da tornare indietro. Non sono riuscito a tornare subito, ma verso fine anno. Visto che oramai mi conoscevano, il tempo del viaggio ed ero già al fronte.
E com’è stata questa seconda volta?
Beh, la situazione era completamente cambiata. Nella zona del Donbass dove stavo io, si combatteva solo con le armi piccole: si va dai mitra che usavamo noi, agli AK, ai 50… al massimo usavi gli RPG e quella roba lì. Non è che. C’era anche qualche mortaio ma era tutta roba piccola, appunto. Una guerra totalmente diversa. Che poi, guerra: noi tenevamo solamente la posizione e basta. Tenevamo semplicemente la linea perché il nostro obiettivo era non farci invadere da questa parte. Loro ci sparavano addosso e ogni volta ci provavano. Di là c’erano sniper che venivano quasi sempre di notte e ti sparavano, ma anche di giorno in alcune zone dovevi stare attento perché lì c’erano sniper sempre appostati. Di notte, comunque, di media si dormiva una o due ore al massimo.
E come facevate a restare vigili?
Ce lo chiedevamo anche noi. Eravamo sempre al 100 %. Forse la paura aiuta a rimanere svegli, in un certo senso. Ma comunque non sentivamo quella stanchezza da dire: “Eh, non ho dormito abbastanza”. Magari era per via dell’adrenalina, sicuramente.
Di droghe ce ne sono?
No, te l’ho detto: come non c’è alcol, non c’è droga.
E riuscivate a lavarvi?
Eh, se eri fortunato una volta a settimana. Oppure ogni due.
Ma dove?
Eh, se potevi tornavi indietro in qualche cittadina. Più che altro, se non faceva troppo freddo, perché se faceva freddo dovevi lavarti sul posto. Anche perché i pozzi da quelle parti sono tutti di acqua inquinata che non puoi bere. Comunque quando fa freddo, non hai nessuna intenzione di lavarti. Io ci sono stato la prima volta prima ancora della primavera, la seconda eravamo già in autunno. E ti dico: lì a ottobre, dalla metà del mese, sei già sotto zero. E quando passi le notti fuori a sotto zero, l’ultima cosa che vuoi fare è bagnarti. In primavera e in estate, invece, è l’inverso: diventa molto caldo, pieno di moscerini…
Come fai a sopravvivere a una notte al freddo sotto zero?
Eh, uscivi fuori che sembravi l’omino della Michelin perché tutto quello che trovavi, te lo mettevi addosso. Tanto l’importante era riuscire a muovere un po’ l’arma. Per quanto riguarda il freddo, il problema maggiore era il tempo: perché se non attaccavano, dovevi mantenere la posizione e dovevi stare lì, fermo, anche fino a due o tre ore. Possono sembrare poche ma, minchia, in quella situazione le senti.
Quant’era la distanza tra voi e loro?
Non saranno stati neanche 100 metri. Di notte poi sentivi sparare ma era talmente a buio che non vedevi niente. Quando c’era la nebbia, poi, ancora peggio. Puoi solo usare le orecchie. Quando vedevi i flash era perché stavano per spararti e cominciavi la danza. Fino a che poi smettevano e allora smettevi anche te. Era una cosa solo di difesa. Ti dico: due strade dietro di noi, la gente faceva una vita normale.
Quindi se aveste ceduto voi, avrebbero preso la città…
Se noi ce ne fossimo andati, loro avrebbero avuto solo da venire avanti. Non c’era verso di farli passare perché gli ucraini sono sempre stati molto motivati. Anche ragazzi senza esperienza, avevano questa motivazione fortissima. Quelli non molleranno mai. E perché dovrebbero? Spero che gli italiani abbiano la metà del loro spirito, altro che balle.
Quindi questi erano i separatisti…
Allora la gente li chiama separatisti o filo-russi. Ma tu hai mai visto gente normale con in mano mitra, lanciarazzi e quant’altro? Non esiste: qualcuno te li deve dare. La roba più specializzata che avevano, tipo quella notturna che era silenziata, non la davano certo ai civili. Quindi contro di noi non c’erano i civili. I civili c’erano il primo anno, nel 2014. Lì c’era stato un macello all’inizio perché erano ubriaconi contro ubriaconi. Poi è cambiato tutto perché sono stati aiutati di brutto dall’altra parte…
Dall’altra parte chi?
Dalla Russia. Erano tutte armi russe, anche quelle che noi prendevamo ogni tanto. Difatti una volta, avevo trovato strano che avessero abbandonato quei lanciarazzi, quelli che sembrano tubi, sai? Infatti l’ho preso, l’ho messo nel campo legandoci una bomba e l’ho fatto saltare. Sai mai che l’avessero manomesso, qualche poveraccio va per usarlo e ci lascia la testa. Insomma, nessuno vuole morire, giusto? Quindi quando cominci a sentir sparare abbassi la testa e così sia.
E invece i bielorussi?
Ah, loro erano lì tranquilli: fumavano, chiacchieravano. Davanti ai sacchi, eh? Lo facevano apposta come sfida, come a dire: “Non abbiamo paura”.
Però i bielorussi non è strano che venissero a combattere con gli ucraini?
Perché? C’erano anche dei russi a combattere con noi. Anzi, uno di loro che avevano conosciuto. In generale, ricordiamoci che fino a un anno fa, erano morti in più di 13mila, eh? C’è un muro a Kiev con tutte le loro foto. Tutti bravi ragazzi. Quel tipo di guerra lì è una selezione inversa…
Cioè?
Nella selezione naturale è il più forte che vince. Lì invece i più forti andavano a morire e gli altri no perché si nascondevano.
Italiani ce n’erano?
Ne ho conosciuto solo uno, ma che io sappia ne sono andati diversi. Molti, però, sono andati lì a farsi le foto. Fino a poco tempo fa, almeno, ce n’erano ben pochi motivati per stare al fronte.
Non hai mai avuto paura di morire?
La paura di morire non è che non ce l’hai, la usi. La usi per stare attento al 100%, per salvaguardarti. Lo sapevi che quando andavi nei campi c’erano le mine, quindi a ogni singolo passo, stavi molto attento a quello che facevi. Perché le mine erano col filo, ma nel tempo era cresciuta l’erba. Quindi era molto difficile vedere questi fili. Che poi erano verdi, di cotone. Io ne ho trovati due di fili e ho cercato le mine. Non trovandole, ho dato fuoco a tutto il campo che avevo davanti. Era troppo pericoloso e tanto poi lì davanti c’era un fiume. Ha bruciato per quasi tre giorni, eh?
Hai visto morire gente?
Per fortuna no, nel periodo in cui sono stato lì, siamo stati fortunati. Certo, c’è stato qualche ferito ma niente di grave.
E tu sei stato ferito?
Lì no. In altri posti sì, ma robe lievi, niente di particolare. Ho una ferita sul piede e una dietro la spalla. Ma roba di poca entità, eh?
Hai mai ucciso?
Questo non lo puoi sapere. Perché combattendo solo di notte e sparando a dei flash che ti comparivano davanti, non è che potessi vedere cosa avessi davanti. Quindi se beccavi qualcuno o meno, non potevi saperlo. Poi, sì: ho buttato giù una postazione con un RPG, Però era notte, magari son stati zitti perché gli era arrivato vicino e han pensato che fosse meglio stare zitti. Insomma, se è morto qualcuno è un peccato. Ma loro cercavano di ammazzare me, quindi…
Perché non sei più tornato?
Perché ho avuto un problema nel 2017 che mi ha costretto a stare fermo. Poi sono tornato un paio di anni fa, ai tempi del primo lockdown. Per arrivarci ho dovuto prendere un treno per Milano, poi da lì uno dei loro maxi-furgoni che vanno su e giù in continuazione, un business che hanno tutto l’anno.
Ma cosa portano questi furgoni?
Eh, se tu hai parenti o amici lì e gli vuoi mandare un pacchetto, qualcosa… andavano pagati a peso.
E da Milano da dove partono?
Non ricordo più come si chiamasse la via. Comunque partendo da lì, alla fine sono arrivato a Ternopil, un viaggio lunghissimi. Siamo partiti di sabato mattina e arrivati di lunedì sera. Nel mezzo, siamo rimasti bloccati su un ponte per dieci ore, tra l’altro.
Perché Ternopil?
Ternopil è molto più vicina alla Polonia e lì c’è un centro di reclutamento. Mi ero stancato di essere volontario perché c’è un altro problema a essere volontario: morire, pazienza, ma sotto l’esercito se rimani storpio o comunque ti ferisci, sei mantenuto. Da volontario, invece, sono cacchi tuoi. Anche se, da volontario dell’esercito, hai comunque un contratto e non è che te ne puoi andare quando vuoi. Ne aveva diritto solo chi era stato volontario nel Donbass, come esterno.
Poi dopo il 2016, quando sei tornato qui, hai avuto un problema con la legge…
Sì, il motivo esatto non lo so. Ma sono venuti a casa mia per una perquisizione. Avevo una pistola chiusa nella cassaforte, una Beretta 9 mm.
Perché l’avevi?
Perché sono convinto che stiamo subendo un’invasione passiva: prima o poi il casino succede anche qua.
Cosa intendi per “invasione passiva”?
Eh, se vi guardate intorno, voi poi che siete di Milano, ci sono certe strade che sono sicuro che di notte non ci andate. Torino è lo stesso: ci son certi posti alla stazione che di notte non ci vai perché ci sono tutte queste razze, inutile star qui a menzionarle tutte, tanto ce ne sono di tutti i colori… e man mano diventeranno sempre di più. Dall’Ucraina arrivano qui in Italia donne e bambini, qualche uomo che riesce a passare. Dall’altra parte, invece, arrivano qui solo uomini e tutti in età da combattimento.
Quindi hai paura che l’invasione prima o poi da passiva diventi attiva?
Prima o poi… è solo questione di tempo. Certo, mi auguro di sbagliarmi.
Avevi solo quella pistola in casa?
Sì.
Però sei stato condannato…
Sì, mi hanno dato la condizionale quindi sono pulito. Hanno capito che non sono un fuori di testa. Io nemmeno frequento bar, faccio la mia vita e sono pure abbastanza solitario. Hanno capito che non ero affiliato con nessuno.
Ma potresti tornare nel Donbass?
Nel Donbass sì, se non va sotto i russi. Se stavo bene, partivo oggi. Anche perché, appunto, hanno bisogno.
Non senti nessuno che è lì adesso?
No, non c’è proprio comunicazione. Per scelta loro, eh? Anche perché lì i telefonini sono molto rilevabili. Io per esempio, anche prima di questa guerra, non avrei mai potuto tornare a visitare la Russia, perché loro sanno chi è stato lì a combattere per l’Ucraina.
Adesso come la vedi?
Eh, adesso è un gran casino. Perché Putin non ha ottenuto quello che voleva veramente, ma non vorrà perdere la faccia. Si sta girando dall’altra parte, dice che vuole prendere l’altro pezzo però non sarà facile neanche lì. Ho paura che ci sia - questo è un pensiero mio, eh? -, per me ci sarà un po’ di escalation. O riescono a zittirla di brutto, o non so come va a finire. Questo è un altro motivo per cui spero di essere in forma nei prossimi mesi. Perché nel caso andasse oltre, poi si spostano e… Ma questo è solo il mio pensiero, vale quel che vale. La guerra andrà comunque avanti ancora degli anni perché loro sono tutti molto molto patriottici. Dovessero anche vincere in Donbass, avrebbero solo spostato il confine della guerra di prima. Vedrai che tra qualche anno saranno ancora lì che se le danno.
Hai mai avuto a che fare con le Brigate Azov?
No. Perché non sono mai andato a Mariupol e loro sono solo laggiù.
E cosa ne pensi di chi li accusa di essere neo-nazisti?
Questa è un’accusa propagandistica. Le Brigate Azov sono truppe e non facevano nulla di diverso da quello che facevo io sul fronte. Solo che lo facevano a Mariupol, ovvero in un altro posto rispetto a me. Sono nati come una milizia a sé stante ma poi sono diventati regolari, entrando a fare parte dell’esercito. E si sono dedicati alla difesa della zona. Tutti guardano cosa abbiano fatto in passato e nessuno da un occhio al presente: chi glielo fa fare di stare lì a morire per difendere Mariupol? Non è nemmeno loro! Però credono in quello che stanno facendo e portano avanti il loro lavoro di difesa. Il nazismo non c’entra davvero niente.
Cosa diresti agli italiani che stanno lì adesso?
Se ce ne sono, mi fa piacere. Sperando che siano dalla nostra parte, quella dell’Ucraina, e non contro. Ce n’erano parecchi che non lo erano, stavano dall’altra parte e venivano pagati 400 dollari al mese. Pensavano di essere dei mercenari. Va beh…
“Va beh”, cosa?
E insomma uno che fa il mercenario per 400 euro al mese. Uno fa il volontario gratis ma almeno lo fa per un motivo.
Cosa diresti agli italiani, tipo Palmeri e Carugati, che sono lì a combattere per i russi?
Direi che sono dei cazzoni. Per me sbagliano, come tutti i filo-russi adesso.
E saresti pronto a uccidere un italiano filo-russo in battaglia?
Beh, calma: se tu mi stai per sparare, non me ne frega niente di che razza sei, io ti sparo. Perché in battaglia è diverso: chi spara per primo se ne torna a casa e punto.
Se tu volessi tornare domani in Donbass, cosa faresti per andare lì?
Eh oramai l’unica strada è quella che fan tutti: devi andare in Polonia, arrivare lì al confine. Insomma, non è che sarebbe difficile. Sarebbe solo un viaggio, tutto lì. Se vuoi, puoi addirittura farlo in macchina. La lasci al confine con la Polonia, prendi il treno e poi ci pensano loro da lì. Non è che puoi decidere dove vai una volta che arrivi. Ti portano dove c’è bisogno e in base a quello che sai fare: non ti obbligano a combattere, non lo fanno nemmeno con gli stessi ucraini. Chi sa combattere, va a combattere. Chi non lo sa fare, aiuta diversamente. C’è chi deve caricare, chi deve fare da mangiare, chi deve portare rifornimenti… Ognuno ha il suo ruolo.