Non fosse per i Maneskin che l’hanno vinto nel 2021 portando a casa l’occasione di organizzare la manifestazione nel 2022, in Italia l’Eurovision sarebbe null’altro che un evento per iniziati, anche se di qui a breve tutti - dopo essersi scoperti virologi e attenti osservatori di relazioni internazionali, oltre che varologi nei weekend del calcio - ne diventeranno esperti, a partire dal 10 maggio quando si aprirà a Torino. Eppure l’Eurovision Song Contest ad altre latitudini è apparso spesso qualcosa di serissimo, uno strumento di soft power in cui si va oltre musiche, testi e costumi. La Russia, per esempio, a lungo vi ha investito tantissimo, ma da qualche anno ormai ha smesso di puntare su quel tipo di legittimazione sociale, “al punto che l’Eurovision sembra anticipare le crisi”, spiega Giacomo Natali, autore e analista di comunicazione e geopolitica che, da alcune settimane, ha pubblicato con Vololibero il libro Capire l’Eurovision, sorbendosi peraltro ore e ore di brani dimenticabili, dando al concorso una autorevolezza politica sconosciuta che spiega anche, in parte, il conflitto russo-ucraino.
In che senso l’Eurovision anticipa le crisi?
Perché il distacco socio-cultrale-politico tra un paese e un altro, o tra un’area e un’altra, si inizia a vedere prima, nel modo in cui si votano cantanti e canzoni perché il meccanismo di voto prevede che, a livello di pubblico, si possano votare solo i rappresentanti di altri paesi e non del proprio. Era accaduto anche con la Brexit: dopo il referendum, i britannici sono andati sempre malissimo. Ma i risultati dei loro rappresentanti hanno iniziato ad essere pessimi da qualche anno, non c’era più affinità.
Russia e Ucraina cosa c’entrano?
La Russia a Torino non ci sarà perché squalificata dopo l’invasione dell’Ucraina, che ne ha richiesto appunto l’esclusione. Immediatamente la Finlandia ha minacciato il boicottaggio e informalmente lo hanno fatto anche gli Stati baltici: l’esclusione, da parte dell’organizzazione, è stata ufficializzata già il 25 febbraio.
Ma l’Eurovision non dovrebbe essere apolitico?
In teoria si dice apolitico e sono vietate esternazioni politiche, ma in realtà nasce fin dal principio con l’intento politico di ripacificare nel dopoguerra. E infatti spesso l’ingresso nell'Eurovision è stato il preludio all’ingresso nei contesti istituzionali veri e propri.
Non c’è nemmeno la Bielorussia.
Con la differenza che la Russia è squalificata per il 2022, la Bielorussia è invece stata espulsa. L’espulsione è del luglio 2021, a causa delle nuove limitazioni alla libertà imposte da Lukashenko. E dire che la Bielorussia ha creduto molto nell’Eurovision per legittimarsi, al punto che una vittoria della Norvegia avvenne grazie a un interprete bielorusso.
Rewind. 2021, vincono i Maneskin, ma fa successo un pezzo russo: Russian Woman di Manizha.
Manizha, russo-tagica, è una rapper molto alternativa rispetto alla narrativa dominante: si occupa di minoranze, ad esempio, e la sua presenza era stata oggetto di critiche da parte della chiesa ortodossa e di alcuni membri del Parlamento. Fu difesa da chi l’aveva iscritta, si presentò portando un brano che è diventato un inno femminista. Poteva sembrare un segno di speranza. Anche per questo il capitolo sulla Russia è stato il più complicato, già prima della guerra.
Anno 2003, all’Eurovision la Russia portò un fenomeno pop: le t.A.T.u, quelle di All the things she said.
Immagine ribelle e inclusiva, apparentemente attenta alle istanze lgbt, le t.A.T.u. portavano una canzone in russo ed erano considerate vincitrici già prima di partecipare. In Russia ne erano convinti. La performance non fu impeccabile: arrivarono terze, vinse Sertab Erener, una cantante turca.
Icone omosessuali in un paese che non ha brillato in questo senso in era Putin. Solo scena?
Mettiamola così: una delle componenti del duo, Julia Volkova, ha successivamente affermato che non avrebbe accettato un figlio maschio gay: una femmina omosessuale sì, un maschio no, e questo già di suo è eloquente. Nel 2021 poi si è candidata alle elezioni con il partito di Putin. Non è stata eletta.
2008, la Russia finalmente vince.
Dima Bilan vince e consente alla Russia di ospitare l’edizione 2009. In teoria è tutto perfetto, Putin inizia a occuparsi anche in prima persona dell'organizzazione dell’evento, vuole fare bella figura, sembra il coronamento di una strategia che mira all’accoglimento nella famiglia europea. Ma il 2008 è anche l’anno in cui Putin manda l’esercito in guerra con la Georgia.
Storia già sentita.
L’Eurovision 2009 è uno spartiacque: lì Putin si rende conto che la strategia non ha funzionato. La Georgia non partecipa, gli Stati baltici minacciano di boicottare, ma a nessuno viene in mente di chiedere la possibilità di vietare l’organizzazione alla Russia: operazione militare diversa, certo, ma anche diverso peso tra Georgia e Ucraina. Intanto però, nel voto, la rappresentante russa arriva undicesima.
La finale 2009 viene presentata da Ivan Urgant, alias Giovanni Urganti, autore di Ciao 2021, formidabile parodia russa del capodanno melodico all’italiana. Ora non è più in Russia.
Su Instagram il 24 febbraio, giorno dell’invasione, postò un’immagine nera commentando нет войне, cioè “no alla guerra”, termine che oggi è vietato anche solo pronunciare. Da allora si è fatto vivo due volte: in marzo sostenendo di essere in vacanza, una decina di giorni fa per il suo 44esimo compleanno.
In vacanza?
Urgant andava in onda sul primo canale russo, ma era una voce, diciamo, progressista, capace di ritagliarsi uno spazio sui canali dove passa solo la propaganda. A febbraio, appena prima dell’invasione, aveva anche ironizzato sulla guerra, vestendosi in mimetica in uno sketch sarcastico in cui si parlava dei falchi della Nato che minacciavano le colombe russe. Si dice si trovi in Israele, ma di certo in patria sono partiti attacchi contro il suo personaggio, come quello del leader ceceno Kadyrov. A difenderlo è stato però Peskov, il portavoce di Putin che lo ha definito un “patriota”, parlando di lui come di coloro che se ne sono andati per paura, non per opposizione.
Tornando all’Ucraina, non partecipò nel 2015. Perché?
Perché il conflitto in Crimea non le consentì di versare la quota necessaria per l’iscrizione. In questo l’organizzazione è molto rigida: chi non paga resta fuori.
Avrebbe vinto però nel 2016.
Con un pezzo politico che aggira il divieto di parlare di politica nei testi. Lo canta Jamala, si intitola 1944 e parla della tragedia dei tatari in Crimea sotto Stalin. Ma dietro al significante il significato era ovviamente più attuale e, anche in quell’anno, il favorito era russo: Sergej Lazarev, vincitore per il pubblico ma punito dalla giuria. Un aspetto che accentua la rabbia russa, si parla di brogli e complotti, e la stessa figura di Lazarev viene circondata da polemiche sulle sue preferenze sessuali.
Su quel tema si cade sempre.
Nel 2014, quando vinse Conchita Wurst, Putin pensò addirittura di riproporre l’Intervision.
Cosa?
Un concorso al quale, anni addietro, avevano partecipato gli stati dell’Est-Europa ed ex sovietici. L’idea è rimasta nel cassetto.
Geopolitica a parte, l’Eurovision è musica. Quanto vale da quel punto di vista?
Diciamo che delle migliaia di canzoni che hanno partecipato e ho ascoltato, nella mia playlist non ne ho salvate moltissime. Però ogni tanto c'è anche qualche vera perla. E comunque il punto di forza è l'enorme varietà dell'offerta e dei generi, anche per la diversità geografica e culturale di chi partecipa.
Chi vincerà?
L’Ucraina, anche se il pezzo dell’anno per me è russo: si intitola Slova-parazity ed è stato pubblicato dai Daite Tank.