Un po’ quadro surrealista, un po’ collage dadaista, il profilo Instagram di Emilio Fede è un pastiche di aneddoti, meriti, cristianesimo, Alfredo, Silvio e Berlusconi. Tanto, tanto Berlusconi. Impossibile non parlarne negli ultimi giorni. La sua discesa all’inferno ha catturato l’attenzione morbosa di chi, come Fede, ha sempre cercato di trarre il meglio dalla sua frequentazione. L’ex direttore del Tg 4, però, è anche sincero. Sì, Emilio è un uomo innamorato. Alla follia, in ogni cellula del suo corpo. Silvio, Silvio ovunque. Una litania perenne, una reliquia di un passato dorato. La vita di Emilio Fede è ormai condita solo dalle croste appese sui muri delle sue stanze, portatrici dei ricordi più vari: “quella pianta, non so dirvi il nome, me l’ha regalata Silvio”. Può un bugiardo separarsi dalla sua capacità di simulare il vero? No, altrimenti tradirebbe se stesso. Ciò vale anche per la dedizione berlusconica del giornalista, così profondamente legato allo chevalier da non poter distinguere più la sua figura dall’ombra del defunto. “Apro gli occhi e ti penso”, cantavano gli Equipe 84, “Ed ho in mente te”. Fede ci rende spettatori di video eterni, interminabili, vuoti e patetici in cui legge ogni singolo commento, scandendo con una fatica evidente tutte le sillabe. La bocca impastata di vecchio e i nervi oculari tirati ai limiti estremi della termodinamica. Solo per dare l’impressione di essere ancora vivo, ancora in prima linea nel mondo dello “spettacolo”. Chi ha passato l’esistenza a farsi vedere non può rinunciare a uno sguardo del Dio Narciso, anche di sfuggita.
Ma sono notevoli anche i plot twist nella narrazione del buon Emilio. Cambi di rotta improvvisi, che fanno rimpiangere gli ossimori dei più potenti umanisti. Rammenta di quella volta a Nassiria: “Sono stato a Nassiria… no io a donne non ci vado, non ci sono mai andato”. Si fregia di aver compiuto battaglie in nome della libertà dell’informazione, l’unica arma imbracciata contro i soprusi. Contro il razzismo, “in difesa delle razze che, di fronte a Dio, sono tutte uguali… Bianchi e neri”. Qualcuno gli porti un giornale post 1955. Qualcuno gli tolga quel telefono. Almeno dopo le dirette, quando la telecamera rimane accesa e lo sentiamo confessarsi con le donne che lo seguono. “Sono stanco”, ammette. Che pena. Un inutile spreco di forze, che dovrebbero esser dedicate ad altro. Ad aggrapparsi a ogni grappolo di speranza e di gioia. Una vita in attesa della telefonata di una persona che ormai è morta. Invece, si condanna a sbraitare contro Alfredo il lurido, Alfredo che dovrebbe essere arrestato, “caricato di botte”, Alfredo che è un figlio di puttana. Con tanto di chiosa: “In nome del Padre, del Figliolo e dello Spirito Santo”. Contribuiscono al grottesco le foto con Huxley e Montale, con Bossi, i cappelli da carabiniere, i tapiri in bella vista. Fellini non avrebbe saputo fare di meglio. Lynch può solo imparare. Fate qualcosa, se gli volete bene, o voi che ancora vi prendete cura di Emilio. Risparmiate a lui l’umiliazione e a noi lo strazio.