Dove eravamo rimasti? Lungo dei bordi strappati di un debutto Netflix super esplosivo di un paio di anni fa. Michele Rech, per tutti Zerocalcare, è tornato, e con lui il suo romanesco che alcuni definiscono estremo: tutti moralisti. Troppe parolacce, è uno scandalo, ma che vergogna e si potrebbe continuare all’infinito. Purtroppo. E visto che le critiche non si placano, noi di MOW abbiamo scelto di intervistarlo proprio in romanesco. Perché la verità sta tutta qui: la chiave del successo di Zerocalcare sta nella sua voce unica, originale e perfettamente riconoscibile da chi lo ascolta. Una parlata romana contemporanea viva, quella che si sente ovunque ci sia un piccolo barlume di vita non confezionata ad hoc dal perbenismo. Finto. Senza dimenticare la sua incredibile capacità nel saper raccontare il disagio quotidiano di una generazione lasciata a sé stessa, senza certezze. Tranne una: "A me non me ne frega un caz*o, annamo a pijà er gelato?". Con “Questo mondo non mi renderà cattivo”, torna quell’inadeguatezza intima in cui riconoscersi e immedesimarsi viene ancora una volta facile. Zerocalcare, fin dal primo episodio nella nuova stagione, gioca con la questione del romanesco chiedendo all'Armadillo: "Ma secondo te io parlo strano?". Per chi scrive di incomprensibile o “strano” non c’è niente, ma solo tanta onestà intellettuale.
La tua serie ha avuto tanti complimenti ma anche molte critiche, come rispondi?
Quando dai in pasto a nà piattaforma che c'ha milioni de iscritti una cosa è fisiologico. Aldilà del tema che è divisivo, quindi ci stanno persone che gli sta sul cazzo proprio per il taglio in cui è raccontata, poi ci sono chiaramente delle persone a cui la roba mia non piace. Ma è normale, io sò sereno su sta roba.
Le critiche non te rodono?
Magari me rodono pure, ma me lo tengo nel segreto della mia cameretta. Fa parte del gioco.
Il segreto del tuo successo è tutto talento o anche un po' bucio de culo?
Io c'ho avuto un sacco de fortuna, proprio un botto. Come ho imbroccato il momento in cui c’è stata sta'apertura nel mercato del fumetto. Io lo so benissimo che ce stanno un miliardo de persone più brave de me a disegnare e scrivere, più sveglie de me che non c'hanno gli stessi spazi che c'ho avuto io perché m'ha detto bene. Non penso de aver levato niente a nessuno. Non è che se non ce stavo io c’era più spazio per qualcun altro. Ogni tanto a qualcuno gli dice bene e m'ha detto bene a me.
Una delle cose che il Covid c'ha lasciato è sicuramente la tua serie animata.
A me m'ha auitato tanto per far capire a Netflix che una roba come Rebibbia Quarantine, cioè formato breve e parlato velocissimo in romano poteva funzionare anche su scala nazionale. Se non ce fosse stato Rebibbia Quarantine, con il Covid, io non so se m'avrebbero dato retta quando gli proponevo un progetto fatto così.
C'avevi un po' d’ansia addosso pe la seconda stagione?
Porco due, c'avevo l’ansia della morte. Intanto delle aspettative per la prima, e poi per il tema super complicato. Un bagno di sangue.
Pensi che ti influenzerà in futuro la morte de Silvio Berlusconi?
Non particolarmente, per me il ruolo che c'ha avuto rimarrà immortale.
Gli italiani c'hanno sempre bisogno de un capo di Stato?
Capo di Stato è nà roba complicata. Viviamo in un mondo che in questo momento non ci dà gli strumenti per pensare a come fare senza qualcuno al comando, però sarebbe buono iniziare a scardinarle ste robe nei ragionamenti.
C’è un saluto o frase romana che te rappresenta de più?
Io dico daje bella, penso che lo userei anche se dovessi incontrà Sergio Mattarella.
Una frase iconica della serie a cui sei più affezzionato?
Non me le posso dì da solo ste cose, io poi tutto quello che diventa iconico e tormentone anche se l’ho scritto io lo odio a un certo punto. Te giuro io non c'ho nessun tipo de affezione verso il mio lavoro, non lo riguardo e non lo rileggo. Quando inizio a vederlo nei meme me va sul cazzo.
Non hai rivisto la serie su Netflix?
No, mai.
A quando il prossimo lavoro?
Non lo so, intanto smaltiamo questo che sta portando abbastanza rotture di cazzo.
Un saluto?
Daje bella.
In un mondo ormai completamente dominato dal politicamente corretto, Zerocalcare resta geniale quanto schierato. E ci piace proprio per questo: “Noi c'abbiamo un miliardo de cosiddetti intellettuali de sinistra, che sostanzialmente so sempre gli stessi. Purtroppo, me ce metto pure io. Nel senso che, quando uno guarda i festival più o meno de sinistra, ce stanno sempre gli stessi nomi, so sempre le stesse persone che parlano. In questa cosa qui, quante de ste persone utilizzano le loro opere per costruire un immaginario che vada in quella direzione. Io c'ho l'impressione che una persona se definisce un intellettuale di sinistra se firma gli appelli o se dice delle cose nelle interviste. Che so cose anche giuste e che in parte faccio anche io. Però produce anche un effetto inverso. Un intellettuale de sinistra che firma un appello non ho l’impressione che crei poi consenso attorno a quel tema”. E sul Salone del libro di Torino: “Ci sono persone che vanno in giro facendo delle storie su Instagram dicendo di essere ospiti al Salone, e poi scopri che in realtà si sono dovute pagare il treno, l'alloggio dormendo in 5 e perdendo un botto di soldi. Questo perché in quel momento di autoproduzione in cui si racconta come l'autore affermato in qualche modo gli vale di più, perché per affermarsi in questo mondo devi dare di te l'immagine di una persona che fa parte di quella cricca lì”. Stesso ragionamento che per Zerocalcare vale anche per i giornalisti: “A volte in realtà stanno per una micro-testata che non gli paga niente, in cui se pagano loro stessi l'accredito, ma devono rappresentarsi in quel modo lì. Questa penso che sia una grande sconfitta culturale. Se non si hanno la capacità e l'orgoglio per raccontare le lotte che si fanno per campare in questo mondo, preferendo raccontarsi come un privilegiato, perché è percepito meglio, è una sconfitta di tutti”.