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Vi spieghiamo la filosofia della motocicletta: perché il viaggio conta più della meta e guidare è un atto politico (anche di sopravvivenza alla modernità)

  • di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

24 settembre 2025

Vi spieghiamo la filosofia della motocicletta: perché il viaggio conta più della meta e guidare è un atto politico (anche di sopravvivenza alla modernità)
Chiunque abbia sognato di fuggire su due ruote conosce quella vertigine: il vento in faccia, l’idea che la libertà sia un viaggio senza arrivo. Da lì si parte, da un ricordo intimo, per capire che “Lo Zen e l’arte della manutenzione della motocicletta” non è un libro sulle moto ma un manuale di sopravvivenza esistenziale. Un trattato di ribellione silenziosa che insegna a riparare non solo i bulloni, ma anche le proprie contraddizioni

di Leonardo Caffo Leonardo Caffo

Eccola lì, quella fotografia, mio padre su una Bmw bianca, vestito da marinaio. Era appesa nel corridoio, quello strano vicino alla lavanderia; mi sembrava che fosse totalmente libero. Dove andava, e perché? Non capivo ancora che non si va in moto per andare verso le cose, ma attraverso di esse. Per un motociclista, l’arrivo è sempre un problema, un ostacolo da aggirare: la questione non è raggiungere una destinazione, ma sperare di viaggiare per sempre. Di non essere mai padri, di restare eternamente figli. Una filosofia della motocicletta, quindi, è una teoria della libertà come fine a sé stessa, un mantenimento continuo delle condizioni per la possibilità di un'assenza di responsabilità. È un abbraccio del transitorio, una danza con l'imprevedibile, dove il viaggio stesso è l'unica vera costante e l'orizzonte continua a richiamare senza mai esigere un abbraccio finale. Il ronzio del motore diventa un mantra, il vento un confidente silenzioso, e ogni chilometro percorso una testimonianza di una vita vissuta senza vincoli convenzionali.
 

"In moto il viaggio stesso è l'unica vera costante"
"In moto il viaggio stesso è l'unica vera costante"

Non era (solo) una motocicletta

La prima volta, a tredici anni, fu su un piccolo motorino Honda azzurro cielo. Non era certo una motocicletta, ma l'intuizione che mi diede fu inestimabile: perché mai dovrei scendere da questo mezzo? Cosa potrebbe esserci di più prezioso che trasformare l'instabilità in stabilità attraverso un'equazione di velocità? Come potrei mai separarmi da qualcosa che galleggia nel vento? Non era una motocicletta, ma fu un addestramento in sua attesa: un acceleratore tirato forte verso di sé con il palmo della mano destra, un casco bianco a scodella allacciato male in testa, e davanti a me le infinite possibilità di un vagabondaggio senza bisogno di un porto… “alla vita randagia, alla contemplazione del dolore, della morte, dell’incertezza di ogni attività, costretto a fissare gli occhi nell’abisso”. Questa esperienza nascente fu una rivelazione, una promessa sussurrata di una libertà più grande. Fu lo stadio embrionale di un profondo desiderio di strade aperte, della solitudine del viaggio e del profondo legame tra l'essere umano e la macchina, un legame forgiato nel crogiolo della velocità e dell'equilibrio.

La caduta

Due ruote in equilibrio nel vento sono metafisicamente connesse alla loro causa finale: possono sempre cadere. Quella prima caduta, davanti alla scuola a quindici anni… gli occhi di tutti su di me, e poi quell'eco di risate. Ma ogni motociclista sa che il punto prende la forma di un nodo; solo chi rischia costantemente di cadere, per legge metafisica, impara a rialzarsi in fretta. E a riparare, forse direi soprattutto, e dunque a curare una carrozzeria con la stessa eleganza di una ferita, senza però nasconderne mai del tutto i danni. L'esperienza del fallimento, in una filosofia della motocicletta, è in fondo una medaglia. Sono caduto, e nel mio curriculum, occupa lo stesso spazio di una svolta coraggiosa. È un distintivo d'onore, una testimonianza di resilienza, un promemoria che il vero spirito del guidare non si trova nell'esecuzione impeccabile, ma nell'impegno incrollabile di continuare, di imparare da ogni graffio e ammaccatura, e di portare le cicatrici come storie di viaggi veramente vissuti.

"Le cicatrici come storie di viaggi veramente vissuti"
"Le cicatrici come storie di viaggi veramente vissuti"

Il trattato filosofico on the road

Eccoti qui, quindi. Tieni in mano un libro che, in superficie, sembra un semplice resoconto di un viaggio in moto. Ma, credimi, Robert M. Pirsig non ha scritto una guida turistica. Ha scritto un trattato filosofico travestito da viaggio on the road che, se letto con gli occhi giusti, quelli non contaminati dalle logiche del profitto e dell’autorità, rivela un potenziale dirompente. Sto parlando, ovviamente, di una profonda risonanza con quella che chiamo l'anarchia del vivere, una decrescita dell'anima, e una ribellione silenziosa radicata nell'etica della cura. La motocicletta, per Pirsig, non è solo un mezzo. E non lo è nemmeno per me. È un'estensione del corpo, un'estensione della volontà e, in modo cruciale, un simbolo di autonomia. Non si va in moto per essere trasportati, ma per essere nel viaggio. Per "essere" in un senso profondo, radicale. L'atto stesso di guidare, di sentire il vento, di calibrare l'equilibrio tra velocità e stabilità, è una pratica di autogoverno. Non c'è gerarchia tra il pilota e la macchina, ma solo una simbiosi nata da una comprensione e un rispetto reciproci. Questo, amici miei, è il primo, fondamentale passo verso l'anarchia: l'abolizione del rapporto servo-padrone, anche con la tecnologia che ci circonda. Ma il cuore pulsante di questo libro, ciò che lo rende un testo quasi profetico per i nostri tempi, è la manutenzione. Il "fare". Pirsig non parla di meccanica fine a sé stessa, ma di una metafisica del bullone. Non si tratta semplicemente di aggiustare qualcosa che si è rotto; si tratta di un impegno intimo e critico con l'oggetto della nostra interazione. Questo impegno pratico, questa meticolosa attenzione ai dettagli, è un atto di resistenza deliberata contro un mondo che ci spinge costantemente alla delega, a esternalizzare le nostre capacità. Ci viene insegnato a consumare, a sostituire, mai a riparare, mai a capire veramente il funzionamento di ciò che possediamo. Questo dispotismo sistemico, questa alienazione dalla nostra stessa autonomia, è precisamente ciò che perpetua le gerarchie che cerchiamo di smantellare.

"Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" di Robert M. Pirsig (Adelphi)
"Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" di Robert M. Pirsig (Adelphi)

La qualità

Consideriamo la qualità. Il concetto elusivo, eppure centrale, di Pirsig. Non è qualcosa che si trova in un manuale, o che viene dettato da un esperto. È una comprensione intuitiva, una percezione olistica che trascende la sterile divisione tra il "classico" (razionale, analitico) e il "romantico" (intuitivo, estetico). Per me, questa è una ricerca intrinsecamente anarchica. È la ricerca sovrana di significato dell'individuo, che si rifiuta di essere confinata da categorie predefinite o narrazioni autorizzate. È il rifiuto di un'epistemologia imposta, il riconoscimento che la vera conoscenza, il vero valore, emerge da un'esperienza personale e impegnata, non dalle dichiarazioni di una figura autoritaria o di un'istituzione. È una ribellione contro la violenza epistemica che categorizza e sminuisce, abbracciando invece la fluidità e l'interconnessione di tutte le cose.

Lo Zen

E poi c'è lo Zen. Spesso frainteso come semplice calma o contemplazione passiva, Pirsig ce ne mostra un altro volto: lo Zen dell'azione meticolosa, dell'essere completamente presenti nel compito che si sta svolgendo. Non si tratta di svuotare la mente, ma di riempirla completamente con l'intricata danza delle parti, le sottili vibrazioni del motore, la precisa coppia di un dado. Questa profonda immersione, questo impegno consapevole con il mondo materiale, è una contro-narrazione radicale alla nostra ossessione contemporanea per la velocità, l'efficienza e la gratificazione istantanea. In un mondo che sta scivolando verso il collasso ecologico a causa del nostro consumo incessante e del nostro distacco, lo Zen della manutenzione offre una profonda lezione di decrescita. Ci insegna la pazienza, la cura e un rinnovato apprezzamento per la longevità rispetto alla novità. È una presa di posizione etica, un'empatia anti-specista estesa non solo agli esseri viventi, ma alla materia stessa che costituisce il nostro mondo. Avere cura di una macchina, capirne le necessità e i limiti, è un microcosmo del prendersi cura del pianeta stesso, dell'intricata rete della vita.

Il viaggio

Il viaggio in sé, l'atto fisico di guidare attraverso l'America con suo figlio Chris, è una metafora della condizione umananella sua forma più pura e incontaminata. È un viaggio senza una destinazione preordinata, un divenire costante, una sfida ai punti fissi. Questa è l'essenza stessa della libertà anarchica: la capacità di tracciare il proprio percorso, di abbracciare la contingenza, di trarre significato dal processo stesso piuttosto che da un risultato imposto dall'esterno. Le tensioni con Chris, lo smarrimento di Phaedrus (l'ex sé più radicale di Pirsig), non sono solo drammi personali; sono allegorie delle lotte interne necessarie per liberarsi dal condizionamento sociale, per mettere in discussione le proprie convinzioni, per smantellare le prigioni mentali che costruiamo per noi stessi. La ricerca della Qualità da parte di Phaedrus, il suo crollo finale, è il prezzo che spesso si paga per una ribellione intellettuale ed esistenziale di questo tipo: il doloroso ma necessario smantellamento del vecchio sé per permettere l'emergere di qualcosa di più autentico, più libero. "Lo Zen e l'arte della manutenzione della motocicletta" è, quindi, molto più di un libro sulle moto. È una profonda meditazione su come viviamo, su come ci relazioniamo con il mondo e su come potremmo reclamare la nostra autonomia in un'esistenza sempre più controllata e mercificata. È un invito a una rivoluzione personale, un'insurrezione silenziosa e decentralizzata in cui ogni bullone serrato e ogni momento di attenzione focalizzata diventano un atto di liberazione. Ci insegna che il percorso verso un'esistenza veramente anarchica non è lastricato di grandi proclami, ma da un impegno meticoloso, consapevole e profondamente etico con la realtà che ci circonda. E, in questo senso, l'opera di Pirsig rimane un testo vitale e urgente per chiunque cerchi di vivere una vita di vera libertà e consapevole responsabilità. 

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