In Forrest Gump c’è quella scena leggendaria: Tom Hanks corre per giorni, mesi, anni. Non sa bene perché, lo fa visto che “ne aveva voglia”. All’inizio lo guardano storto, poi qualcuno lo imita, poi arrivano in tanti, fino a trasformare la sua corsa in un fenomeno collettivo. E quando si ferma, si gira e dice: “Sono un po’ stanchino”. Gianluca Gazzoli per rilanciare il suo podcast Bsmt ha scelto proprio quell’immaginario (torna il 25 settembre). Perché anche lui ha corso: 293 episodi in quattro anni, centinaia di ospiti, chilometri di chiacchiere. All’inizio quasi da solo, poi con sempre più persone dietro, fino a che il suo basement è diventato un luogo riconoscibile, seguito, imitato. “Tutti hanno fatto un podcast” dice nello spot. E aggiunge, con la stessa autoironia di Forrest: “Sono un po’ stanchino… ma si riparte”. Gazzoli annuncia la nuova stagione così, niente entry da wrestler, niente rullate di tamburi. Si siede. Respira. Si prende in giro. La panchina funziona da simbolo. Nel cinema era il luogo della narrazione lunga, senza ansia di arrivare al punto. Qui diventa la controcampagna perfetta nell’era dell’algoritmo isterico: sedersi è un gesto politico. Fermare il tempo, accogliere l’ospite, lasciare spazio alle pause e alle rivelazioni che arrivano proprio lì, dove la domanda non graffia ma accompagna. La scena ti dice: non stiamo per interrogare nessuno, stiamo per conoscerlo.
E infatti è questo il paradosso Gazzoli: mentre i talk-show si travestono da tribunali e i podcast da sedute di psicoanalisi, lui sceglie la carezza. Chiacchiera amabilmente, annuisce quando serve, rilancia con leggerezza, non gioca a fare il pubblico ministero. Risultato? Fa più numeri di molti “cattivi” di professione. Che non significa essere buonista: significa capire l’aria che tira. In un ecosistema saturo di decibel, la dinamica si ribalta: il tono basso diventa differenziante, la gentilezza è il vero clickbait (quello che non ha bisogno del titolo urlato). Bsmt è un podcast costruito su un equilibrio sottile ma efficace tra leggerezza e profondità. Gazzoli non è mai invadente, non cerca scalini in salita per fare la domanda scomoda: semmai tende la mano, con garbo, e lascia all’interlocutore il tempo di aprirsi. C’è poi un merito che ai detrattori sfugge: per far parlare davvero un ospite devi smettere di parlare di te. La panchina è anche questo: de-ego del conduttore. E Gazzoli, che potrebbe performare con facilità, si ritrae mezzo passo. Non rinuncia alla personalità, ma non la usa come clava. È un setting di fiducia: quando l’altro non teme l’agguato, apre cassetti che davanti al microfono-armatura restano chiusi.

Morale: se proprio vogliamo parlare di domande scomode, facciamone una a chi comunica oggi: stai puntando alla clip o alla relazione? Vuoi generare rumore o capitalizzare ascolto? Perché i numeri di Bsmt, che non nascono da uno scandalo ma da un format, dicono che, sorpresa, si può crescere senza urlare. E che prendersi in giro pubblicamente (lo spot gioca anche su quello) è molto più credibile che prendere in giro il pubblico con il solito teatrino. La panchina, insomma, è un invito: siediti, respira, racconta. Il resto lo fa l’ascolto. E in tempi in cui tutti corrono per arrivare primi, la vera rivoluzione è ripartire da lì: da una chiacchiera fatta bene. Forrest avrebbe detto che la vita è come una scatola di cioccolatini. Qui possiamo aggiungere: la comunicazione, se vuoi che resti, è come una panchina. Ci torni solo se ci stai bene. E con Gazzoli, a quanto pare, ci torni volentieri.