In pochi se ne sono accorti, ma in sordina e grazie al “lavoro, lavoro e ancora al lavoro” c’è una trasmissione che piano piano sta scalando le gerarchie degli ascolti e iniziando a insidiare i propri competitor sul terreno del talk televisivo. Si tratta di Zona Bianca, che nell’ultima domenica è arrivata a un soffio dal raggiungere Non è l’Arena (4.7% di share di Rete4 contro il 5% di La7) e punta “a mettere la freccia” nelle prossime settimane. Se gli riuscirà o meno lo staremo a vedere, certo è che fino a poco tempo fa sembrava impensabile. Non si tratta comunque di un caso, visto che il timoniere del programma ci ha spiegato che dietro a questi risultati c’è una vera e propria strategia pianificata da Mediaset nel corso di diversi mesi: giocarsi le proprie carte attraverso questo format per contrastare l’egemonia di Massimo Giletti.
E fedele ai dettami di Zdeněk Zeman, perché, come vedremo, più che al calcio è rimasto affezionato agli insegnamenti dell’eretico allenatore boemo, l’importante alla fine anche nella vita è segnare un gol in più dell’avversario. È la filosofia di Giuseppe Brindisi, giornalista e conduttore di Zona Bianca, che abbiamo incontrato per parlare di come vengono costruiti oggi i talk, delle immancabili polemiche sugli ospiti (“chi dice di essere censurato è sempre in Tv, ormai è una moda”), sulla libertà di espressione (“noi diamo parola a tutti”) - come nell'ultima puntata a Maurizio Murelli, neofascista condannato a 17 anni e sei mesi per concorso in omicidio volontario in un servizio del direttore di MOW Moreno Pisto - sulla responsabilità di chi amplifica certe tesi controverse (“a volte mi sono pentito di avergli dato voce”), senza dimenticare una sua vecchia passione, il calcio, che però ormai lo ha deluso: “Gli Europei sono stati una illusione ottica, non abbiamo più fatto crescere i talenti. Ma io rimango sempre un integralista zemaniano”.
Partiamo da una nota positiva per il tuo programma. Zona Bianca, che nelle ultime settimane sta marcando stretto Non è l’Arena intorno al 5% di share.
Siamo molto siddisfatti. Ci siamo spostati dal mercoledì alla domenica proprio perché l’azienda voleva inseguire Giletti e si è pensato che Zona Bianca fosse il programma migliore per contrastare Non è l’Arena. Abbiamo lavorato per mesi per costruirci il nostro “tesoretto” di pubblico in un giorno difficile. La vera sfida era questa. Non è facile, ma i risultati ci stanno dando ragione. Siamo vicini e siccome io e la mia squadra siamo molto competitivi tra un po’ proviamo a mettere la freccia.
I talk spesso sono al centro delle polemiche per gli ospiti che invitano. Ultimamente si è parlato molto del professor Alessandro Orsini, in particolare per il compenso che avrebbe ricevuto a Cartabianca sulla Rai che poi è stato annullato. Voi come vi regolate con i compensi per gli ospiti?
Tutti gli ospiti politici vengono a Zona Bianca gratuitamente. Non solo i politici in senso stretto, anche gli opinionisti. Se qualcosa come produzione paghiamo, riguarda soltanto i personaggi esterni a questo ambito. Se invitiamo Al Bano, per esempio, gli riconosciamo un cachet. Ma in generale la nostra policy è di non pagare. Lo facciamo solo se hanno una funzione che può servire davvero dibattito, quindi prevediamo un “gettone”. Ma parliamo di cifre molto molto limitate.
Al di là del compenso, Orsini ha lamentato di essere ostacolato perché le sue tesi escono dal racconto “mainstream” o dalla “narrazione ufficiale.
Guarda, quando sento parlare di “mainstream” o “narrazione ufficiale” posso andare giù di testa. Orsini dice di essere censurato, ma in realtà è in tv più volte al giorno e scrive per i giornali o viene intervistato. Quelli come Orsini che parlano di “mainstream” sono i primi che ne fanno parte. Gli fa comodo nella loro narrazione essere censurati.
È diventato un mestiere gridare alla censura per poi avere visibilità?
È diventata una moda che a me fa veramente schifo. Provo ribrezzo per questo atteggiamento, perché non bisogna perdere un po’ di onestà intellettuale. Quando mi parlano di “narrazione ufficiale”, come dicono i giovani mi “sale il crimine”. Noi che siamo “mainstream” non facciamo nessun tipo di censura. Il talk deve essere una contrapposizione fra varie tesi, a parte alcuni programmi che hanno un messaggio univoco da lanciare. Quindi noi a Zona Bianca abbiamo interesse ad avere più voci e a non limitare nessuno.
Sei stato accusato di interrompere troppo spesso certi ospiti con argomenti un po’ al limite.
Quando sento delle castronerie provo a dire la mia. È più forte di me. Ma non interrompo nessuno. Anzi, a volte sono orgoglioso di interrompere quelle che ritengo delle ricostruzioni palesemente false o surreali. Va bene tutto, ma a un certo punto bisogna dire basta.
Bianca Berlinguer che conduce Cartabianca alle critiche di Aldo Grasso ha risposto: “Non ho mai letto una recensione negativa ai programmi della rete del suo editore (La7 di Urbano Cairo, ndr). Anche nella critica c’è spesso un vizio di fondo?
Non entro nella questione tra Berlinguer e Grasso, però parto dall’idea che chi parla di giornalismo libero, dei duri e puri, mi fa un po’ sorridere. Io ricordo sempre che dalla Bibbia in poi un editore fa emergere gli aspetti che sono funzionali alla sua narrazione. Per questo, nel rispetto della deontologia professionale e dell’onestà intellettuale è chiaro che una televisione abbiamo una sua linea editoriale. Poi è responsabilità di chi conduce fare i conti con la propria coscienza ed essere il più obiettivo possibile. Ma io di filantropi che si mettono a buttare milioni di euro per produrre giornali o programmi televisivi non ne ho mai conosciuti. Come nella Bibbia, se l’editore è Dio non troverai certo delle pagine benevole sul diavolo…
C’è mai stata una volta che ti sei pentito di aver dato spazio a qualcuno per parlare nei tuoi programmi?
È successo più volte. Mi è capitato di avere la netta impressione di essere utilizzato per promuovere delle tesi che altrimenti non avrebbero avuto altro spazio. E in quei casi mi pento di essere stato l’amplificatore di teorie strampalate, come quelle dei vari complottisti. Ma se mi guardo indietro credo di aver comunque fatto il mio lavoro mettendo a confronto delle opinioni, sperando che la gente sia riuscita a capire qual è quella giusta. Sempre che esista una opinione giusta. Più volte ci ho pensato, ma in linea di massima credo di aver fatto bene a contrapporre opinioni diverse anche dalle mie. E quando penso che una sia totalmente strampalata lo metto in evidenza.
Chi ti piacerebbe avere ospite e non sei ancora riuscito ad averlo?
Difficile fare un nome, sarebbero tantissimi…
Ti faccio un nome: Adriano Celentano. Ricordo quando, dopo le critiche che ti rivolse via social, lo invitasti a discuterne in diretta.
Lui mi piacerebbe molto averlo ospite, soprattutto perché apprezzo il Celentano artista. E poi quando vieni attaccato per cose che non pensi che siano giuste, per di più da un pulpito importante come quello di Celentano, ti viene voglia di avere la possibilità di discuterci. Quindi sì, lui mi piacerebbe davvero. Mi aveva chiamato “l’interruttore” perché secondo lui interrompo troppo spesso… Non credo verrà mai, però l’invito per lui è sempre valido.
Per anni ti sei occupato di sport, in particolare di calcio. È ancora fra i tuoi interessi?
Sono stato un innamorato perso del calcio, ma negli ultimi tempi lo seguo molto meno. Non mi piace più. Sono un integralista zemaniano, perché ho iniziato a lavorare nel ‘90 durante l’epopea di Zeman a Foggia, poi l’ho seguito ovunque e mi sono appassionato al personaggio e al suo modo di lavorare. È un marziano”. Ha fatto battaglie che gli sono costate la carriera. Se fosse stato più furbo probabilmente avrebbe ottenuto più risultati. Ha sempre propugnato l’idea del lavoro, mentre il calcio di adesso è la negazione di questa idea.
Come mai?
Lo testimoniano i risultati. Non ci si vuole più allenare duramente, si offrono contratti milionari a dei ragazzini... Come diceva Zeman, “finché ci sarà un ragazzino con un pallone per strada il calcio sopravviverà”, ma in Italia siamo ancora più in crisi, non vedo in giro tanti talenti.
Eppure, solo otto mesi fa abbiamo vinto un Europeo.
Prima ci hanno sempre aiutato i talenti. Otto mesi fa, secondo me, ci siamo invece fatti ubriacare dalla vittoria degli Europei che è stata, con il senno di poi, una congiuntura astrale favorevole. In quei giorni potevano calciare la palla in tribuna e un refolo di vento l’avrebbe mandata in rete. È stata una illusione ottica. Il calcio italiano è da rifondare, solo che sono molto pessimista.
Secondo te Roberto Mancini è giusto che rimanga alla guida della Nazionale?
Rimarrà soprattutto perché rinunciare a 4 milioni di euro l’anno non credo sia facile, avrei problemi anch’io a farlo. E penso che anche la Federazione avrebbe dei grossi problemi a pagare un altro stipendio. Per cui c’è un interesse comune a continuare insieme.