Dopo la sconfitta di Bolsonaro fin da subito in Brasile sono scoppiate delle proteste, in particolar modo blocchi stradali. Organizzati da camionisti che hanno messo di traverso i mezzi paralizzando così la circolazione. Una situazione diventata incandescente quando da 60 le barricate sono diventate 200 e poi 321 in 25 Stati. Proteste sia a Rio De Janeiro che a San Paolo. Le immagini delle tv hanno mostrato la gente disperata all’apprendere della vittoria di Lula. Erano convinti che vincesse Bolsonaro, e a quanto pare non aveva alcun dubbio. Il trionfo di Lula è stata quindi una doccia fredda. Un’ipotesi che ritenevano impossibile e che ora si rifiutano di accettare. A intervenire per l’ennesima volta il Tribunale Superiore Federale, come ha fatto per tutta la campagna elettorale al fine di frenare la valanga di fake news che giravano sui social, per censurare le iniziative estemporanee di leader politici e vertici delle forze dell'ordine chiamate a garantire l'esercizio del voto senza interferenze e pressioni.
Ha vinto Lula e il volere della popolazione deve essere rispettato. Su proposta del consigliere Alexander De Morales, la maggioranza del Supremo ha approvato un decreto che impone a tutti i camionisti di rimuovere i blocchi. Si va dalla sanzione, alla rimozione forzata, fino all'arresto. Cose che rischia anche il capo della Polizia Federale Stradale, il general Sil Vinei Vasques, diventato il simbolo di questa ribellione. Difatti durante le votazioni aveva postato su Twitter un invito a votare Bolsonaro, violando così il silenzio elettorale e la regola che impone la neutralità da parte delle forze dell'ordine. Per questo era stato redarguito dal Tribunale Superiore. Ma imperterrito lui aveva continuato, e aveva dato ordine ai suoi uomini di controllare tutti i bus del servizio pubblico che trasportavano la gente ai seggi in modo da rallentare il flusso dei potenziali votanti per Lula. Infine, davanti ai blocchi stradali che impedivano la consegna delle merci, era rimasto inerte. Le pattuglie della polizia sostenevano di aver ricevuto l’ordine di controllare ma non di agire. Ordine che arrivava direttamente dall'alto, dal capo Vasques. Questo ha richiesto l’intervento magistratura, che ha aperto delle inchieste ipotizzando i reati di "disobbedienza", ordinando di rimuovere i camion che hanno provocato lunghissime file sulle autostrade.