Il sangue che va alla testa, una forza di gravità bastarda che non perdona con la con Mercedes Chesterfield cappottata. Le gambe non si muovono e la puzza di benzina entra con prepotenza nell’abitacolo ma Clay Regazzoni, ormai paralizzato da quasi dieci anni, non si è lasciato perdere d’animo come avrebbe fatto qualunque altro mortale.
La morte l’aveva vista da vicino, troppo vicino, in quel maledettissimo cinquantunesimo giro sul circuito di Long Beach, quando il pedale del freno della sua monoposto Ensign si era rotto, facendolo impattare a 280 km/h contro le barriere di protezione.
Era il 30 marzo 1980 e da quel giorno, nonostante i numerosi interventi chirurgi, le sue gambe non avevano più ripreso a funzionare. Chiunque avrebbe deciso che sfidare nuovamente il destino sarebbe stato folle, eppure Gianclaudio Giuseppe Regazzoni ha solo deciso di spostare i comandi dai pedali al volante e le ruote dall’asfalto alla sabbia.
Quando sei malato di vita e di velocità, non ti puoi fermare, la mente corre più veloce delle gambe ormai immobilizzate e inizi a pianificare, ed è così che uno dei baffi più famosi fella Formula 1 diventa l’apripista tra i piloti con disabilità.
Rinasce Clay così, avventurandosi sulle dune a bordo di auto e di camion, anche dopo essere rimasto intrappolato a testa in giù a bordo della propria Mercedes Chersterfield in una delle tappe più insidiose di sempre, in Guinea.
Lui stesso, poi, aveva raccontato del suo brutto incidente e di come fosse stato salvato da due piloti di moto italiani che l’avevano tirato fuori dal mezzo quasi completamente distrutto. “Non riesco a capire - aveva detto Clay una volta al bivacco – eravamo appena usciti dalla parte più dura della speciale quando in un rettilineo di terra rossa, la macchina si è messa traverso. L’ho controllata per un po’, ma poi mi è partita. Si è fermata dopo quattro giravolte con le ruote in aria. Sentivo puzza di benzina e Del Prete lamentarsi. Poi sono arrivati i due motociclisti italiani che mi hanno aiutato ad uscire.”
Insomma, capottarsi all’epoca non era una passeggiata, non tanto per l’impatto, ma anche per i servizi di soccorso che non erano puntuali come quelli di oggi. Forse la storia del figlio di Margaret Thatcher di qualche anno prima vi suona famigliare, lui che era scomparso nel deserto, facendo mobilitare l’operazione di ricerca più complessa della storia del Rally.
Regazzoni era arrivato alla Parigi – Dakar prima e poi al Rally dei Faraoni quando i rally stavano vivendo l’apice della propria popolarità. Lui era lì, ad abbattere le barriere e a fare da apripista ai tanti, un Alex Zanardi d’altri tempi, ma con l’accento svizzero.
Piloti eccellenti ma, prima di tutto, uomini straordinari che hanno saputo rendere le sfide del destino lo scopo della propria vita.