Fiat Topolino e 600, un vero e proprio ritorno al passato, alle origini della mobilità figlia degli albori dell’automobilismo italiano e del boom economico, due modelli che rappresentano una tradizione antichissima per il Bel Paese, eppure… Solamente la scorsa estate, con il debutto della microcar torinese e l’annuncio del nuovo crossover EV (e hybrid), nella storica sede del Lingotto si festeggiavano le “icone della cultura nazionale”, così come descritte dallo stesso John Elkann, azionario del Gruppo Stellantis di cui Fiat fa parte. Ma siamo proprio sicuri di parlare di automobili 100% italiane? A Torino, infatti, Topolino e 600 sono passate solamente per la loro presentazione ufficiale sotto gli occhi festosi di stampa e presenti, tra foto, video e prove sull’iconica pista dello stabilimento torinese, ma la realtà è ben diversa. Salutati come la rinascita dell’automotive italianissimo, i due modelli provengono da luoghi molto lontani sia da Torino, sia dalle altre storiche fabbriche del brand, come quella di Pomigliano, di Termoli e di Atessa. La piccola Topolino, infatti, nasce nel nuovissimo stabilimento Stellantis a Kenitra, in Marocco, mentre la 600 prende vita nella storica sede a Tychy, in Polonia, fabbrica che negli anni ha dato alla luce le nuove 500 (tranne la versione elettrica) e Panda. Insomma, nella realtà qui di italiano c’è ben poco, anche se oramai è risaputo che il “made in Italy” è diventato una sorta di bandiera da sventolare per darsi un tono. La nomea del tricolore si sa, attrae e soprattutto fa vendere, fa vendere molto. Ma le motivazioni che hanno portato Fiat a produrre i propri modelli al di fuori dei confini dello Stivale sono alquanto curiose, e non hanno certamente mancato di creare polemiche al riguardo.
Da anni l’azienda torinese della famiglia Agnelli viene considerata come un vero e proprio brand francese, soprattutto da quando alla guida è salito Olivier François, CEO di Fiat e CMO di Stellantis. Di italiano oramai non c’è rimasto nulla, nemmeno le fabbriche. Il francesissimo condottiero del brand torinese, sulla questione, risponde con toni duri e a volte anche provocatori: “Gli stabilimenti italiani sono saturi rispetto ai piani previsti” ha detto François solamente pochi mesi fa, aggiungendo: “In Italia produrremmo più auto se ne comprassero di più. Questo Paese è l'unico in Europa che arretra sull'elettrico perché non ci sono incentivi sufficienti”. Di altro avviso è stato lo stesso John Elkann, che ha preferito utilizzare toni certamente più pacati, rimarcando sui programmi futuri (e futuristici) di Fiat sul territorio italiano: “Mi piace pensare al futuro: un futuro a Termoli dove stiamo costruendo una Gigafactory, un futuro ad Atessa poiché una parte molto importante di Stellantis è legata ai veicoli commerciali, e un futuro a Pomigliano dove non solo abbiamo prodotti che vengono esportati fuori dall'Europa come Alfa Romeo e Dodge, ma anche prodotti molto forti nel continente come la Panda che ora è anche ibrida. Inoltre - ha continuato Elkann - A Torino avremo un grande hub per l'economia circolare che stiamo costruendo: sarà un grande business nel futuro del laboratorio delle batterie". Se Fiat al momento rimane italiana solamente per gli slogan, nel futuro tornerà ad esserlo in modo effettivo, almeno si spera. Intanto sono arrivate alcune smentite riguardo alle dichiarazioni sulle “fabbriche sature”. "L’unico stabilimento che viaggia a pieno regime in Italia è quello di Pomigliano, dove i lavoratori italiani vengono trasferiti in maniera coatta da Melfi, che non è assolutamente saturo" è stato il duro commento di Simone Marinelli, responsabile automotive dei metalmeccanici della Cgil. Inoltre, sempre secondo le parole di Marinelli, in tutti gli stabilimenti italiani di Fiat (o Stellanti) gravano delle grandi incertezze. A Melfi con la fine della produzione della 500X (e in attesa dei nuovi modelli elettrici annunciati dal brand) è prevista la cassa integrazione per rimettere a regime l’impianto, la Gigafactory di Temoli rimane un immenso punto interrogativo a causa della riqualificazione dei lavoratori, mentre ad Atessa la produzione cala a vista d'occhio. Infine, un accordo tra sindacati e Stellantis siglato nello scorso mese di febbraio, prevede la perdita del 9% della forza lavoro in azienda (2.107 posti di lavoro in meno), e la richiesta di François di incentivi per la produzione di auto green viene vista un po’ come un trabocchetto: "Porti la produzione dell’elettrico in Italia e quindi chiedano incentivi" ha sottolineato Marinelli. Ma come si è ridotta l’italianissima Fiat?