Immaginate un prestigioso commercialista milanese. Ora togliete la parola “commercialista” dalla frase e inserite, a scelta, “pilota” o “collezionista”. Roberto Colussi è un professionista dalle due vite. Una, più che avviata, dietro la scrivania; l’altra, più fragorosa, ad ascoltare il rombo dei motori, la passione di sempre. Proprietario di un grande garage/capannone a Pioltello, il dottor Colussi ci ha invitato a conoscere le sue preziose Abarth, tutte preparate da Aldo Grassano della Grassano Racing.
Quando nasce la sua collezione?
Ventitré anni fa circa, a fine 1999. Abarth è un marchio storico del motosport che, negli anni, ha sviluppato auto di derivazione popolare. I prezzi, ancora oggi, consentono a un collezionista di accaparrarsi ottimi pezzi senza strafare. Il modello più vecchio che posseggo è un modello del 1963, quello più nuovo è del 2010. Mezzo secolo di storia che ho seguito con incrollabile curiosità.
Com’è iniziata l’avventura nell’ormai lontano 1999?
Divoravo le riviste specializzate, mi documentavo molto. Volevo recuperare – attraverso una collezione d’auto – i brividi perduti in gioventù. Desideravo prendermi cura di una passione che da giovane mi aveva travolto, ma che non ero riuscito a traghettare nella mia vita adulta.
A che punto è, oggi, la collezione?
La dimensione raggiunta ora mi pare ideale. Le auto sono collocate in un luogo gradevole, i modelli sono quelli che ho sempre desiderato. C’è anche una questione di spazio: le mie 27 vetture riempiono perfettamente l’attuale capannone. Consideri inoltre che “tenere in esercizio” tutte queste auto non è uno scherzo. Una persona di mia fiducia, che abita sopra il garage, mi aiuta accertandosi che funzionino, che le gomme siano sempre a tre atmosfere, che le batterie siano cariche. Poi, ciclicamente, le collauda, le tiene pulite. Un lavoro notevole.
La Abarth, come azienda, è a conoscenza della sua imponente sfilata di modelli?
La FCA – oggi Stellantis – ha una divisione Heritage che propone tanti servizi pensati per appassionati e collezionisti di Abarth d'epoca. Sono loro che certificano le auto. Con Abarth classic ho quindi un rapporto aperto, in continuo divenire. Finora ho ottenuto la certificazione per una dozzina di auto, tutte “a zero difetti”. Al momento credo di essere uno dei maggiori collezionisti attivi in Italia.
Si tratta quindi di una bella mostra, quasi una vetrina, che lei – in quanto proprietario del garage – può visitare quando meglio crede o è una collezione “viva”?
Vivissima, direi. Perché con alcune delle vetture partecipo ai concorsi dinamici di auto d’epoca – non faccio concorsi di eleganza –, mentre con altre gareggio. E insieme a me, seppur in categorie diverse, corre anche mio figlio Niccolò. Partecipiamo a un campionato di monoposto storiche. Per dire, giusto l’altro giorno ho ricevuto l’ambita iscrizione alla prestigiosa Vernasca Silver Flag del 10/11 giugno. Domenica 28 maggio, invece, parteciperò alla rievocazione del Bergamo historic Gran prix. A fine marzo siamo stati a Monza per il prologo della Milano-Sanremo e abbiamo fatto un giro di pista. Di eventi ce ne sono tanti, ma le auto devono sempre essere tirate a puntino.
Perché proprio lo Scorpione?
Siamo fra il 1974 e il 1978. Avevo un amico che correva. Lo andavo a vedere la domenica, e quando ha comprato una monoposto Abarth sono rimasto folgorato. Poi è intervenuta la vita vera (il lavoro, la famiglia, le responsabilità) e dalle piste, anche solo come spettatore, mi sono dovuto un po’ staccare. Ma il mio cuore, mi creda, ha sempre battuto sui circuiti. La prima monoposto della mia collezione è stata proprio il modello che guidava il mio amico: la storica Formula Italia. Quell’auto fu una monoposto addestrativa che ha fatto la storia del nostro monosport. Molti piloti italiani degli anni ’80 si sono fatti le ossa guidandola: Patrese, Giacomelli, Alboreto, De Angelis, Ghinzani… Lo scopo della Federazione era quello di affidare un’auto impegnativa (ma non come costi) nelle mani di una serie di piloti di talento per vedere chi fosse, tecnicamente, il migliore. Di Formula Italia, al momento, ne ho due uguali (anni di produzione: una è del 1972, mentre l’altra è stata commercializzata nel 1974 ma probabilmente è stata costruita anch’essa nel 1972). Ho anche due modelli di Formula Abarth, l’evoluzione della Formula Italia, con cui gareggia mio figlio. Su quella auto si sono formati Ivan Capelli, Giancarlo Nannini, Emanuele Pirro. La Abarth è stata una grande scuola di corsa.
Piloti che lei ha avuto modo di conoscere?
Certo. Partecipano spesso alle rievocazioni. E non mi vergogno di chiedere loro una foto assieme. Non dimentichiamo però il rally, non ci sono solo la strada e la pista.
Possiede anche le auto da rally?
Sì, sette. Ho due Fiat 124 Abarth Rally, una Fiat 131 Abarth Rally…
È la pista, però, la sua principale passione.
Sì, alla fine è quella la dimensione che più mi esalta. Da qualche anno, nel contesto di un format che comprende altre quindici categorie, è stata creata la Formula classic, quella in cui, da circa cinque anni, gareggiamo io e Niccolò. Consideri che a Monza con la mia Formula Italia ho toccato anche i 220. Parliamo di una vettura da 120 cavalli.
Lei ci abiterebbe in una monoposto se lo spazio lo consentisse.
In una monoposto forse no, ma in un garage come quello di Pioltello sì. Non a caso ogni tanto, proprio lì, facciamo delle riunioni conviviali decisamente divertenti. Si respira una bella atmosfera.