Caro Filippo Facci, da quando ho saputo che hai esordito sulle pagine de “Il paninaro” del magnifico e dimenticato Renzo Barbieri, nutro nei tuoi confronti, e non scherzo, riverenza adolescenziale. Hai scritto contro Giuliano Ferrara che ha individuato nel trasformismo di Di Maio una cifra non solo identitaria ma anche salvifica del nostro paese. Dici che il trasformismo di Di Maio non è occidentale, ma africano. Credo, da siciliano, di avere una specie di nervo scoperto contro ogni forma di razzismo culturale. Probabilmente non parlo di te, probabilmente: se usi il termine “africano” come razzismo culturale sono fatti tuoi. Quello che intendo dire è che il feroce razzismo culturale era dei grillini, era di quella narrativa dell’Übermensch (il concetto di oltreuomo o superuomo) secondo la quale l’Italia teneva nascosti da qualche parte superuomini impermeabili a qualunque tentazione. Persone tanto onesteh da rasentare la perfezione, la cui superiorità morale – essendo loro cresciuti e pasciuti in Italia – altra ragione di esistere non aveva che non nel Dna.
Era una narrativa nazista, ariana, terrificante. Fortunatamente la storia si ripete, e la seconda volta come farsa: fu chiaro a tutti che i Cinque Stelle erano una farsa, secondo me il primo a interpretarla come farsa fu proprio Beppe Grillo; gli italiani meno, che hanno sempre mantenuto quel fascistello nell’animo. Il trasformismo di Di Maio non è stato da onestoh a corrotto, ma da nazifascista a comune essere umano. Siamo tutti essere umani, prima ce ne rendiamo conto meglio è e più nazismo estirpiamo. Poi resteranno sempre quelli che nella solitudine della loro cameretta si sentiranno migliori degli altri. Ma fino a quando stanno in cameretta e non in camerata non fanno danno. Il trasformismo del quale parla Ferrara è nient’altro che la possibilità occidentale della verità di venire fuori, nonostante gli umani.