Chiunque, quando con il treno si arriva a Milano centrale, si lascia subito catturare dallo skyline e dalle luci della nuova-metropoli-italiana: internazionale, progressista, moderna, affascinante. Si vocifera, quasi: “Eh, Milano”. Ma esistono due città. Quella di oggi, appunto, la Milano smart, e quella di ieri, più recondita, sotterrata, dimenticata. Che è quella della Milano della mala, dei rapimenti, delle pistole al bar sotto casa, delle sale da gioco, dei night club. E che, come mi disse una volta un giornalista milanese residente all’estero, è “la vera Milano city”.
Immagini e racconti che mostrano una città completamente diversa da quella dei grattacieli di Citylife e del poké. Quella che, nel Dopoguerra, è passata dall’ospitare piccole bande di ladruncoli ad attrarre esponenti del crimine internazionale.
Il concetto che passa fin da subito è chiaro. La città di oggi ha faticato molto per ripulire (o per nascondere) le nefandezze della mala dei Seventies; forse, anche grazie a quei soldi fatti dai criminali, la città di oggi ha obnubilato le tracce che quei personaggi così spietati avevano lasciato nella coscienza collettiva locale.
Perché prima della svolta da bere degli Ottanta, i Settanta avevano visto cicatrizzare a Milano il senso del crimine. Dalla ligera si passò alle rapine e ai rapimenti dei figli di industriali, che poi portarono all’avvento di Cosa nostra, che a sua volta iniziò a finanziare le attività di spaccio. Il criminale spara, rapisce, picchia perché deve, perché è il suo lavoro e come tale rispetta il poliziotto che sa fare il suo mestiere. Si crea un mestiere, si creano fazioni, si creano rivalità. Milano come Chicago, titola La Notte.
Lo raccontano così i magistrati Achille Serra, Piercamillo Davigo, Antonio Nobili, che ne La Mala spiegano i dettagli di quelle nottate passate a interrogare il Tebano, o come, dopo la fuga dal carcere di San Vittore, hanno trattato con i fuggitivi della banda della Comasina in un palazzo circondato dalla madama - aver ascoltato i Baustelle, almeno, è servito a qualcosa. Di fronte a tanta violenza loro sono i buoni. Ma il fascino romantico che ammaliava i milanesi ai tempi - quelli che chiaramente non si chiudevano in casa dalla paura - conquista anche noi. La striscia di coca nei night, la rapina geniale, il fascino della pistola. Turatello, Vallanzasca, il Tebano, Antonio Colia erano i veri role model, le “facce da Vogue” che oggi, a Milano, sono evolute nei volti dei trapper sui muri di Porta Genova e degli startupper intervistati da Forbes.
La stonatura con la Milano contemporanea è proprio in questi confronti. Se oggi si va a Milano per tentare la carriera, per lavorare nelle torri, per partecipare a uno stile di vita internazionale, negli anni Settanta andare a Milano era pericoloso. I bar erano siti loschi, uscire la sera era sconsigliato. Milano è stata il centro del crimine in Italia e ha attirato criminali dal sud e dagli Stati Uniti. Come Frank Coppola, detto Tre dita (le ha lasciate in una cassaforte in una rapina), ritenuto padre e padrino di Francis Turatello, uno dei most wanted man della mala milanese. Nomi che chi ha letto Pietro Colaprico o ascoltato il podcast Demoni Urbani di Francesco Migliaccio conosce bene e che in La Mala ritrova descritti nei minimi dettagli.
Ed è normale che queste storie suscitino fascino o interesse. È un mondo che oggi possiamo solo immaginare, ma che, come si intende da certi episodi, in realtà vive ancora e lo fa sotto un’altra pelle - anche se questo lo sapevamo già, ca va sans dire. Un mondo che dopo averlo incontrato ci fa rivalutare i quartieri e i palazzi glamour che si frequentano a Milano. E che, se ti piacciono le storie sanguinolente, non è per forza qualcosa di cui si deve aver paura.