Ricorderete che ai tempi delle varie manifestazioni Occupy, partita il 17 settembre 2011 a New York, col nome iconico Occupy Wall Street vide il mondo del fumetto dividersi in maniera anche piuttosto violenta. Ovviamente, nel mio dire “ricorderete” e specificare poi quanto ho specificato volevo garbatamente farvi tornare alla mente una situazione che, non foste tra chi segue con passione il mondo dei comics, probabilmente non ricorderete. Anzi, probabilmente non avrete neanche mai sentito neanche per caso, e il mio “ricorderete” risulterà quindi accondiscendente più che garbato. Nei fatti, mentre l’Occidente, perché di Occidente si parlava, in quel caso, manifestava il proprio dissenso e disagio nei confronti di certe diseguaglianze economiche che, dopo la crisi delle borse di tre anni prima, si era se possibile ancor più acuita, c’era chi, penso a Alan Moore, non a caso autore di masterpiece come V for Vendetta o Watchmen, si schierava coi manifestanti, senza se e senza ma e che, penso a Frank Miller, altrettanto non a caso autore della saga del Cavaliere oscuro e poi di Sin City, diceva parole al veleno, stigmatizzando qualcosa che veniva bollato come mosso da ladri, stupratori e saccheggiatori, parole sue, nostalgici di Woodstock, ha poi aggiunto, tanto per non lasciar adito al suo essere vaghissimamente di destra, come del resto a chiunque abbia letto le sue opere, su tutte 300, romanzo che lo stesso Moore ha definito un coacervo ci misogenia, omofobia e antistorico, non poteva che essere chiaro.
Il fatto è che, a discapito di quanto di buono fatto con le proprie opere, e ovviamente Alan Moore è una spanna sopra Frank Miller, seppur entrambi abbiano contribuito più di chiunque altro a ridefinire i contorni dell’universo dei supereroi, umanizzandoli, rendendoli profondi e, soprattutto, facendoli approdare alla contemporaneità, lasciandosi cioè alle spalle la Guerra Fredda e tutto quell’immaginario nazionalista che in qualche modo li aveva nutriti per decenni, a discapito di tutto questo, è chiaro che artisti e opere d’arte non andrebbero mai confusi, lasciando che le idee degli artisti pesino per quel che devono pesare, senza che ciò intacchi il loro lavoro pregresso e possibilmente anche quello futuro. Come dire, Frank Miller è un fascista? Fatti suoi, Il ritorno del Cavaliere Oscuro o la saga di Devil e di Elektra, come Ronin, restano bellissime storie. Tutto questo perché anche oggigiorno il mondo del fumetto, che diciamolo apertamente, non è che sia abitato sempre e necessariamente da gente i cui ideali incideremmo sulla pietra, si sta in qualche modo lasciando andare a situazioni che, temo, col tempo ricorderemo con un certo disagio.
Mi riferisco a un’iniziativa sulla carta anche elogiabile, che però, magicamente, si è trasformata in una baracconata di quelle che definire cringe è volergli fare comunque una coccola.
L’editore Scott Dunbier, che proprio con Alan Moore ha dato vita alla collana Amerca’s Best Comics, per la Wildstorm, Dio gliene renda merito, ha deciso che quanto stava succedendo in Ucraina non poteva passare in cavalleria. Così ha deciso di dare alle stampe un album antologico, col fine di raccogliere fondi.
Fin qui, per dirla con Matthieu Kassovitz, tutto bene. Uno dei primi a aderire è Alex Ross, disegnatore di primo piano del fumetto americano, titolare insieme a Kurt Busiek di quel capolavoro che risponde al titolo di Marvels, e con Mark Waid di quell’altro capolavoro che risponde al titolo di Kingdom Come, fondamentale per il ridisegnare i personaggi di casa DC Comics. È lui alla guida di questo ben nutrito gruppo di fumettisti che hanno lanciato un crowdfunding per portare aiuti al popolo ucraino, sotto attacco da parte di Vladimir Putin e dell’esercito russo. Bene, aiutare un popolo sotto attacco nemico è sempre encomiabile, non è certo di questo che voglio parlare. Solo che nel farlo hanno deciso di dar vita a un album, novantotto pagine, dove trovano spazio tavole e storie di una bella fetta di chi in questi anni sta tenendo alto il livello artistico del mondo dei fumetti, oltre i già citati Ross, Busiek e Mark Waid, quest’ultimo capofila con lo stesso Ross, anche Walt Simonson, Dave Gibbons, Dave Johnson, Bill Sienkiewicz, Emil Ferris e troppi altri da poterli citare tutti. Titolo dell’opera Comics for Ukraine: Sunflowers Seeds, titolare della copertina proprio Alex Ross, con due variazioni a firma di Dave Johnson e Bill Sienkiewicz.
E veniamo, appunto, alle dolenti note.
La copertina che Alex Ross ha deciso di regalare a questo progetto benefico di Scott Dunbier, ripeto, ben vengano progetti del genere, mostra quanto di peggio l’immaginario occidentale, americani in testa, poteva produrre. C’è un eroe in primo piano, coperto dalla bandiera gialloblu dell’Ucraina, una fionda con un sasso tenuta stretta con la mano destra, come a voler incarnare la figura biblica di Davide pronto a sconfiggere il gigantesco Golia, inutile dire che questo eroe è senza ombra di dubbio Zelensky, eletto dalla narrazione unificata a moderno epigono dei fasti di grandi condottieri del passato, e di fronte a lui, appunto, si trova il nemico, enorme, cupo, senza volto, perché è ovvio che il nemico deve essere disumanizzato. Tutto intorno le macerie di una città, come nelle tante immagini che stanno accompagnando questi mesi di conflitto, esposto in ogni suo minimo dettaglio quotidianamente in una narrazione continua, omogenea. Il nemico, Putin, quindi, Golia, anche, è rosso, seppur di un rosso smorto, sia mai che il nemico abbia una qualche chance di apparire vitale, e impugna, giuro, in una mano una falce e in una un martello. Putin, quindi, viene rappresentato oggi, nel 2022, come un comunista, esattamente come se quanto passato dentro le storie a fumetti uscite in questi decenni, comprese quelle dello stesso Alex Ross, come quelle di Moore e di Miller e di tanti altri, a nulla fossero servite. Il nemico è il cattivo sovietico, il comunista con la falce e il martello, l’abito ovviamente rosso. Poco conta che sia quanto di più antistorico si possa ipotizzare oggi, non solo e non tanto perché il comunismo è caduto ormai da un numero sufficiente di anni da aver lasciato agio di essere storicizzato, quanto perché è evidente che la politica di Putin sia indirizzata verso tutt’altro tipo di totalitarismo, gli oligarchi, il mercato, la guerra fredda servita in tavola più per provare a sconfiggere l’ascesa della Cina che per inscenare un reale braccio di ferro con Biden e gli Stati Uniti. Del resto, diamine, sfido io a identificare anche solo in sogno gli americani come gli eroi buoni, già è difficile non guardare alle tante ombre di Zelensky, figuriamoci se i contorni di questa storia sono così netti come poteva essere lo storytelling del mondo dei comics prima della fine della Guerra Fredda, come questa copertina sembrerebbe volerci raccontare.
Mettiamola giù così, se questo conflitto, arrivato dopo due anni in cui il mondo è stato imballato dentro la pandemia da Covid19 a ributtarci con le scarpe e tutto in un passato che pensavamo, onestamente, facesse appunto parte del mondo dei ricordi, è stato davvero capace di rinfrescare tutta una serie di elementi che pensavamo di esserci lasciati definitivamente alle spalle, da certi omuncoli in divisa che inneggiano dentro le televisioni a un mondo maschio fatto di forza bruta a chi per contro sembra aver deciso di abolire ex abrupto la parola pacifismo dal nostro vocabolario, tornare a dividere il mondo tra buoni e cattivi, senza sfumature di sorta, coi cattivi ancora lì, rossi, armati di falce e martello può pure starci. Del resto da noi si è parlato di giorni del “Fuck Putin” pronunciato da Damianio dei Maneskin dal palco del Coachella, non sarà certo una sana mano di smalto sul vecchio refrain Occidente vs Comunismo a rovinarci l’appetito. Davide, per la cronaca, quello che ha ucciso il gigantesco e cattivissimo Golia tirandogli una sassata con una fionda, era il figlio di Iesse, secondo Re dello stato di Israele, speriamo solo che questa copertina non capiti sottomano a Chef Rubio, altrimenti toccherà leggere ennesimi catfight, chissà se anche Alex Ross ordinerà “doppia salsiccia”.