Tiziano Ferro ha cresciuto più di una generazione. Specie la nostra, quella dei trentenni, per inciso, che a inizio anni 2000 si affacciava di striscio all'età adulta. Ci ha cresciuto sì, nel vero senso della parola, visto che le ossa ce le siamo fatte sulle sue Sere Nere così simili alle nostre. Un incipit che, se vai a sbirciare il titolo, confonde non poco, ma ci arriveremo per gradi al succo della questione, un po' alla volta.
Allora, possiamo solo rallegrarci se all'ex Imbranato spunta finalmente la luce in fondo al tunnel, riflettendola di rimando sulla nuova produzione. Ma quel bravo ragazzo, capace di soffrire per amore, da quel tunnel stesso ha pescato anche avidamente da abituarci alla bellezza a profusione. Non solo, il signore di Latina è pure un vero spartiacque del pop tricolore (ma che ne sanno i 2000?), a cominciare dalla rivoluzione hip hop del primo lavoro, anche se mezza scopiazzata sul singolo di lancio Xdono - quel segreto di Pulcinella - rivelato da Canova (ex produttore) più col dente avvelenato per aver perso la sua cassa principale. Ma a un certo punto anche Ferro ha ingranato la retromarcia, forse smarrendo l’ispirazione.
Così, dopo aver messo in fila tre album di livello, Nessuno è solo, Alla mia età, L'amore è una cosa semplice, e in più pure una raccolta di hit per fare i conti con la casa discografica, ecco stagliare la primitiva battuta d'arresto. Il mestiere della vita, un disco buono, ma non eccellente, roba trita e ritrita, grazie, arrivederci, e andiamo avanti. Ancora un altro giro, un'altra corsa, un'altra minestra riscaldata, Accetto miracoli. Perché il pegno che paga il guru del pop è non trovare quasi mai firme alla sua portata. Questo è quanto. Motivo per cui - e ci siamo arrivati - Xdono per il giro largo, l’uscita di nuova musica, a tre anni dall'ultimo disco d'inediti, ha fatto ben sperare, addirittura di tornare agli antichi splendori, per via di quel sigillo di garanzia assicurato da Brunori Sas in combo con Dimartino che solo cose buone poteva fare. Invece...
Quando allo scoccare della mezzanotte, come da tradizione pigio play, il primo ascolto è sacro, ma anche deludente di rimando. Sarà l'ora tarda, mi faccia capace. Sarà che è appena morte queen Elisabetta e non sono dell'umore adatto. Così per due giorni, spinta dal desiderio di concedergli altre chance, avvio più volte la riproduzione, ma nel mentre passa il brano provo solamente l'istinto irrefrenabile di prendere il primo volo per Los Angeles. Poi mi riprendo dalla genialata, anche perché i contanti per la volata oceanica non posso concedermeli con tanta nonchalance, e quindi mi tocca escogitare altro per manifestare il mio rammarico. Come quando a 6/7 anni scopri che Babbo Natale non esiste, quanto cazzo ci rimani male? Ecco, la delusione è della medesima portata. Per cui scrivo del singolo, ma non è mica facile, sono pure una fan sfegatata, di quelle di primo grado, che fino a qualche anno fa alle 4 del mattino (sì del mattino!) si scriveva il numerino sulla mano per la prima fila nello stadio. Intanto riavvio la genesi della costruzione, che come sottolineano i nostri eroi Ferro-Brunori si sviluppa sull'asse America-Cosenza (con Dimartino sullo sfondo che fa ciao ciao: se lo sono dimenticati, per caso?), mentre scoprono all'unisono di diventare pure papà, rivelazione per cui ti aspetti di frignare su quei 4 minuti (spaccati) di brano per tutta la giornata. E invece... l'ho già detto? Andiamo avanti.
Musica nuova, si diceva. Ma in questa sparata c'è già una prima contraddizione, che forse non si è colta subito, all'istante. Perché più che musica nuova La vita splendida è un brano vecchio di almeno 50 anni, stile Massimo Ranieri dei bei tempi con una spruzzatina di Renato Zero se avanza. Allora di qualità, visto i due giganti? Non esattamente. Una dedica che rivolge a una cara amica, ma anche un salvagente per noialtri. Grazie, non c'è di che, ma oltre l'uso poderoso della voce (ad avercene), non resta granché altro. Come quel pianoforte soffocato sullo sfondo, a indicare che spesso la vita è più una trombata che non ce l'ha fatta. O nel caso medesimo un suicidio assistito per mano di altri. Uno dice i testi, ma anche qui andiamoci piano, non è che le toccanti parole (non eccellenti questa volta) sostituiscano appieno una melodia brutta, onestamente inascoltabile. Altrimenti che pubblichi libri di poesie e finiamola, l'invito è già valido da anni, pure se non sono tutte farina del suo sacco, non ci formalizziamo. Insomma, abbiamo sopportato Giorgia Soleri, che vuoi che sia, diamine...
Sarà la crisi di mezza età? Ma non ha mica 50 anni. Età in cui, per dire, Niccolò Fabi solo una settimana fa sfornava un'altra perla delle sue, segno che col passare del tempo non si abbassa giocoforza la qualità. Allora rimane solo l'attesa per i live (sì il prossimo anno), perché in quelli il sovrano è uno soltanto, il palco se lo mangia. Nonché la magra speranza che il nuovo disco a piede libero dall'11 novembre, Il Mondo è nostro - così denominato, sia un totale concentrato del tizianesimo puro che ci piace tanto. Piuttosto meglio canzoni scritte in prima persona, che forse sanno di già sentito, ma in cui identificarsi, se non belle come ai tempi d'oro almeno carucce e ascoltabili, di altre che scivolano senza lasciare traccia. Se non il fastidio pruriginoso unito al desiderio di salvare Ferro dalle sue scelte opinabili. God save the king?