Cantava “evviva la vita” nel ritornello della sua canzone più famosa. Ma la vita l’ha persa a soli 31 anni, questa notte di 39 anni fa. Mentre guidava la seconda di due Volvo 343 comprate a poche settimane di distanza l’una dall’altra.
Sulla morte di Rino Gaetano, sull’incidente che gli è costato la vita lungo la Nomentana, a Roma, si è scritto di tutto. Persino un libro che, mettendo in fila una serie di coincidenze più o meno raccapriccianti, più o meno concrete, lascia intendere che sia stato tutt’altro che un incidente. Alimentando, di fatto, l’aurea di successo postumo di un artista che fin quando è stato in vita non aveva ricevuto la considerazione che meritava.
Perché Rino Gaetano era così, semplice e scanzonato. Perché i suoi pezzi erano così: senza senso alla ricerca di un senso. Un po’ come i menestrelli di storica memoria: apparentemente scherzavano, sostanzialmente denunciavano. E a rileggerli dopo i testi di Rino Gaetano sono denuncia pura per le consuetudini e le abitudini di un Paese che in quegli anni, tra la fine dei ’70 e l’inizio degli ’80, era impegnato a produrre a accumulare. Lasciando indietro il valore della riflessione sociale. Rino Gaetano e la sua arte provavano con un tono innovativo e una coniugazione meno formale a riportare quella riflessione nelle giuste posizioni, abbandonando l’aurea dei cantautori italiani che lo avevano preceduto: un po’ santoni, un po’ profeti. Gente che si prendeva profondamente sul serio, insomma.
Rino Gaetano no: non si prendeva sul serio. E la macchina su cui ha trovato la morte è in qualche modo simbolo di questa scelta di leggerezza. Una Volvo 343: comoda, sicura, ma non certo bella e tantomeno di grido. Ma doveva piacergli proprio, visto che ne aveva comprate due nel giro di pochi mesi. La prima l’aveva distrutta in un incidente stradale che con il senno di poi ha preso le sembianze di una avvisaglia. La seconda era grigia, identica nel modello, nella motorizzazione e nell’allestimento a quella precedente. La guidava anche quella notte tra il primo e il 2 giugno 1981 - mentre la Repubblica Italiana che raccontava nei suoi testi compiva 35 anni - mentre rientrava a casa intorno alle 4 del mattino lungo la Nomentana. Il resto lo ha raccontato l’autista di un camion di frutta: “Quell’auto era sull’altra corsia, l’uomo che la guidava era totalmente inclinato sulla sua destra. Solo quando ormai mi era addosso è sembrato come risvegliarsi”. Ma era tardi. Quello stesso autista prestò i primi soccorsi, prima dell’arrivo del personale sanitario e del realizzarsi di una profezia. Una tragica coincidenza, come dirà la sorella di Rino Gaetano in una lunga intervista al Messaggero, respingendo al mittente ogni ricostruzione complottistica e ogni tentativo di trasformare un incidente in misterioso omicidio per altrettanto misteriosi motivi.
Quella notte, infatti, per Rino Gaetano si chiusero le porte di cinque ospedali. Erano pieni. Esattamente come nel testo della Ballata di Renzo, una canzone che Gaetano aveva scritto quando aveva diciassette anni e che denunciava, con quel modo lì apparentemente senza senso e scanzonato, i primi episodi di malasanità di un’Italia che stava cambiando. Il titolo originale di quella canzone era “Quando Renzo morì io ero al bar”. Il testo, invece, eccolo:
Quel giorno Renzo uscì / Andò lungo quella strada / Quando un auto veloce lo investì / Quell'uomo lo aiutò e Renzo allora partì / Per un ospedale che lo curasse / Per guarir
Quando Renzo morì, io ero al bar / Bevevo un caffè / Quando Renzo morì, io ero al bar / Al bar con gli amici / Quando Renzo morì, io ero al bar
La strada molto lunga / S'andò al san Camillo / E lì non lo vollero per l'orario / La strada tutta scura / S'andò al san Giovanni / E li non lo accettarono per lo sciopero.
Quando Renzo morì, io ero al bar / Bevevo un caffè / Quando Renzo morì, io ero al bar / Al bar con gli amici / Quando Renzo morì, io ero al bar
Con l'alba / Le prime luci / S'andò al Policlinico / Ma lo respinsero perché mancava il vice Capo/ In alto/ C'era il sole / Si disse che Renzo era morto / Ma neanche al cimitero c'era posto.
Quando Renzo morì, io ero al bar / Bevevo un caffè / Quando Renzo morì, io ero al bar / Al bar con gli amici / Quando Renzo morì, io ero al bar.