Vent'anni fa cominciava il disagio della civiltà moderna. Vent'anni fa cominciava il Grande Fratello edizione 1 (esattamente il 14 settembre). Quello con Rocco Casalino sì, Pietro Taricone, Marina La Rosa. Io l'inizio di questa storia la vedo in una trasmissione appena precedente, Tempi Moderni, non a caso sempre condotta dalla Bignardi. È un filo che si dipana nel tempo: questo programma, poi il GF, poi facebook, poi i selfie, instagram, le storie, lo sdoganamento totale e graduale del facciamoci i cazzi di perfetti sconosciuti (amici o no che siano) e mettiamo in mostra i nostri.
Proprio Marina La Rosa, oggi, è stata intervistata dal Fatto Quotidiano da Alessandro Ferrucci. Dice che erano tutti inconsapevoli (come lo eravamo noi) di quello che realmente stava succedendo e che una prima avvisaglia la ebbe quando la produzione tolse tutti i marchi dai prodotti dopo che Casalino aveva tirato fuori uno yogurt dal frigo e detto alla telecamera: "Mangiatelo, è buono". Che il più lucido era Pietro Taricone e che fu lui a dirle, prima che lei uscisse dalla Casa, "sii forte", perché aveva capito che lì fuori li avrebbero sbranati. Infatti La Rosa racconta che, subito dopo, si è ritrovata etichettata, massacrata, attaccata e che i provini che faceva iniziavano e finivano con avance pesanti.
La morale, gli chiede Ferrucci? "Che il pubblico ha la necessità di incasellarti". Quanto è vero. Oggi ce ne rendiamo conto più che mai: devi targettizzare, geolocalizzare, nelle riunioni ti senti continuamente rivolgere la domanda: a chi ti rivolgi? chi vuoi colpire? chi vuoi essere? Come se la moltitudine e l'incoerenza siano caratteristiche deprecabili. Mai sia. Rivendico il diritto di essere quando questo quando quello e quando pure quell'altro. Il giornalista del Fatto chiede a Marina La Rosa: e oggi? Lei risponde: "Pochi giorni fa ero in montagna con i miei figli, giocavamo a nascondino. Dopo un po' si avvicina un signore che mi dice: mia moglie ti ha riconosciuta, vorrebbe salutarti e domandarti cosa fai ora. E io: gioco con i miei figli".
Alla fine è la ricerca dell'oblio ciò che in qualche modo ci rassicura: che qualsiasi sia la nostra esposizione, voluta o imposta da qualcun altro, qualsiasi sia il nostro ruolo o lavoro, non smetteremo mai di desiderare uno spazio tutto nostro, privato, dove nessuno ci vede. Alla faccia delle telecamere e, adesso, degli schermi degli smartphone. Mi viene in mente quella canzone che fa: chi sei davvero quando nessuno ti vede? Già, chi sei, chi siamo?
Sopra, il best del GF1