Vincenzo Mollica compie oggi 70 anni e mai, per nessun giorno di questi 70 anni, è stato “cool”. La sua benedizione, non la sua maledizione, badate. Soprattutto se caliamo il suo peculiare status in questi anni ’20 del nuovo millennio, epoca in cui tutti – dal primo televenditore di pentole fino all’ultimo politico romano, tutta gente che un tempo, di norma, abitava i templi sacri della “uncoolness” – ci tengono ad apparire fighi, smart, perfettamente integrati. Chiunque, oggi, sembra che parli proprio la tua lingua, chiunque tu sia e ovunque tu sia.
Indebolito dai capricci di una salute poco benevola (il diabete, il Parkinson, il glaucoma) e fresco di pensione, Mollica frequenta gli studi televisivi come ospite, ormai. Non è più il volto Rai che incontra tutti, intervista tutti e, secondo letteratura, parla bene di tutti (fu Aldo Grasso a dipingerlo come il buonista assoluto).
Parlavamo della sua “uncoolness”, quella che neppure un servizio dell’Espresso o del Venerdì di Repubblica avrebbero mai potuto levigare. Ricordo un’immagine di Savino Pezzotta, fotografato sotto una luce così azzeccata, con un obiettivo così sensibile, che… che per un attimo Pezzotta apparve più come un torbido Conte di Montecristo che come il segretario generale della Cisl. No, queste magie con Mollica non funzionavano e mai funzionerebbero. Perché Mollica è stato il Sistema e per anni il Sistema è stato fieramente uncool. Mica come oggi.
Oggi che il confronto con un Mollica non c’è più, tutti si autoproclamano “hip” attraverso i canali prescelti, mentre prima era anche il confronto con un Mollica – magari alle 20.30, appena prima del film della sera – a farti apparire strano, bizzarro o, viceversa, come un figlio ben addestrato del Sistema.
“La verità è che io ho sempre parlato di chi meritava e piuttosto che una stroncatura ho sempre preferito l’ironia”, ha dichiarato.
Le interviste di Mollica si dividono grosso modo in due gruppi: quelle di routine (il regista, il cantante, produce un nuovo titolo e Mollica gli chiede di tratteggiare un identikit della propria creazione. Una vetrina, insomma, forse un po’ asettica ma rigorosa. Il sogno di qualsiasi ufficio stampa) e quelle in cui Mollica celebra l’intervistato, solitamente un big assoluto che il Nostro avvicina con simpatica devozione, conscio di essere l’anti-Red Ronnie per eccellenza.
Mollica è sempre stato cosciente di essere meno attraente dei suoi intervistati. E questa matura consapevolezza – mai corretta da un taglio di capelli appena vagamente modaiolo, da un outfit che non fosse Übertraditional o comunque incardinato nel generico – è la sua grande forza: l’artista davanti a lui parla, brilla, si promuove, si gonfia. Mollica, nel frattempo, è lì, quasi in un angolo, a rappresentare il Sistema. Educato, ben documentato, mai pericoloso. Così che, chi parla con lui, automaticamente, si sente un po’ figlio di puttana, un po’ dannato (su YouTube trovate il video in cui Piero Pelù, nel 1992, gli si avvicina e dopo qualche convenevole gli copre il microfono con un preservativo).
Sì, l’anti-Red Ronnie. Mollica è lo scrittore che non si vede, il regista che lascia parlare solo la storia, il Sistema che – forte di essere tale – ci sta a fare la parte del sempliciotto al cospetto di un Roberto Benigni che gli ruba gli occhiali per poi cucirgli addosso la rima definitiva: “Mollica, all’antica”.
Mollica è sempre stato all’antica, è sempre apparso all’antica perché il gioco delle parti orchestrato dalla Rai prevedeva che qualcuno dovesse pur vestirli i suoi scomodi, larghi, panni “uncool”, decisivi nel far risaltare l’estro, il genio, la follia degli intervistati. Che dovrebbero essere straordinariamente grati a Mollica, perché non sempre si sono rivelati così estrosi, geniali, folli. Lui, spesso, li faceva sembrare tali. Lui, che la propria dose di follia se l’è giocata con Alda Merini, per la quale ha curato il libro – “con videocassetta allegata” – intitolato “Più bella della poesia è stata la mia vita”. “Un giorno eravamo seduti a un tavolo, io, Alda Merini e Lucio Dalla”, ha ricordato in un’intervista. “Loro due cominciarono a duettare, Alda scrisse una canzone sul momento”. Per forza, Mollica c’era ma non c’era. E chi gli sedeva accanto si sentiva libero.
Come quando intervistò Federico Fellini per i fatidici 70 anni che oggi è lui a compiere. Un bel reperto. Importante. Perché a parlare era Fellini, niente meno che Fellini. Mai interrotto, devotamente ascoltato. Da Vincenzo Mollica.