Nell’occasione dell’inaugurazione della trasmissione televisiva “Viva Rai 2”, condotta da uno dei maestri del SUCA, Rosario Fiorello, vorrei liberare il SUCA stesso da ogni connotazione negativa e volgare, dando la possibilità al Rosario stesso di usare tale imperativo esortativo con la libertà che merita. Uno degli autori del pregiato conduttore, Francesco Bozzi, ha da poco indagato i rivoli filosofici che potrebbero discendere dal SUCA, nella “Filosofia del Suca” (Solferino Editore). Lontano dalla filosofia, dedico a entrambi questa piccola fenomenologia del SUCA che ne indaga l’etimo del significante. (La seguente “Fenomenologia del Suca” apparirà nel prossimo “Le Cento Parole per Sopravvivere in Sicilia spiegate agli Eschimesi” che verrà pubblicato da SEM… quando adesso di preciso non lo so, ancora devo consegnarlo).
FENOMENOLOGIA DEL SUCA
L’imperativo esortativo SUCA non significa quella cosa lì. Esso non si riferisce alla fellatio – come riporta erroneamente in un articolo esplicativo persino la Treccani – ma è una contrazione della frase: “Sucati un pruno”, ossia “mangiati una prugna”. Per una esatta fenomenologia – e conseguente etimologia – del SUCA bisogna premettere che il SUCA ha più a che vedere con l’evacuare piuttosto che con l’introdurre. In questo senso esso rappresenta un atto d’amore, ma non, come avete fino adesso pensato, dell’invitato/a/* al SUCA, bensì dell’invitante: è chi dice SUCA che compie un gesto d’amore. Chi dice SUCA esprime, con un esortativo profondamente amicale (quasi un “let’s go” rivolto a chi è in preda a brutti pensieri), un affetto che cerca di risvegliare il soggetto al quale il SUCA è rivolto dalle “infernali” emissioni biliari che hanno, secondo una sapienza alchemica – profondamente radicata in Sicilia e nascosta, sapientemente, negli anfratti del nostro dialetto – la capacità di avvelenare i pensieri attraverso gli umori melanconici.
Avverso questo stato melanconico biliare è diretta l’esortazione SUCA o - a mio avviso – il più completo “E... SUCA!” in cui la congiunzione iniziale esplica il contesto e il sottotesto non detto così come esemplifico nella seguente frase: “E… [infine, per tutte queste ragioni che concernono la fisiologia umana, il rapporto tra anima, apparato digestivo e mente, io ti dico…] SUCA!”.
Solo menti volgari, che non conoscono le sfaccettature esoteriche del dialetto siciliano, possono pensare che in Sicilia si usi il SUCA a fini sessuali. Anche le due varianti aumentative, “SUCA FORTE” e “SUCA FORTE CON LO SGRUSCIO” (tradotto: “mangia la prugna talmente forte da emettere rumori sbrodolosi”) si riferiscono all’invito a ingerire la prugna con tale veemenza da ingoiare anche l’aria: mangiare frutti succosi con veemenza è la versione contadina e aulica della moderna bibita gasata, da cui il detto - recandosi a uno dei numerosi chioschi insiti in quel di Catania, ove servono “seltz, limone e sale” o seltz con sciroppi di vario gusto (dall’arancia, al mandarino, dall’arancia-mandarino-limone, al limone-limone – sia sciroppo sia succo) - “andiamo a prenderci qualcosa p’aruttari” (andiamo a bere qualcosa che inviti al rutto), poiché il rutto, in Sicilia, come in Giappone (per le similitudini tra cultura siciliana e cultura giapponese vedasi “La Sicilia spiegata agli Eschimesi”) è cosa buona e giusta.
Spero con questo brevissima fenomenologia di avere liberato il SUCA dalle volgari insinuazioni sessuali e di averlo finalmente restituito al suo arcaico significato evacuatorio ruttativo, ossia purificatorio.