John Elkann sembra passare come “intoccabile” nelle discussioni che riguardano la dinastia imprenditoriale di Exor. Quella famiglia Agnelli, cioè, di cui gli Elkann rappresentano il ramo americano e oggi protagonista nell’impero che fu dell’Avvocato Giovanni Agnelli, conglomerato internazionale con interessi dall’automotive all’editoria. Dopo la scalata alla carica di amministratore delegato di Exor e dopo aver accumulato per sé le cariche di presidente di Stellantis, Ferrari e Gedi ora Elkann mira la Juventus. Per sé, per il fratello Lapo o per un suo fedelissimo la strada è tracciata e ad aprirla sarà Giampaolo Ferrero, commercialista di fiducia che succederà ad Andrea Agnelli: l’ultima torre dell’impero Agnelli vedrà issata la bandiera a stelle e strisce degli Elkann. Ben inserito negli ambienti che contano, elegante, progressista nelle dichiarazioni quel tanto che serve, anglosassone nel cognome come piace al mondo politico e mediatico a cui preme l’idea di sentirsi “internazionale”: Elkann ha in parte ereditato lo stile e soprattutto la percepita inviolabilità di Giovanni Agnelli. Ma se già un decennio fa dalle colonne de Il Giornale Vittorio Feltri cannoneggiava il mito dell’Avvocato, “passato alla storia come re d'Italia non tanto per ciò che ha dato al Paese, quanto per ciò che ha avuto”, oggi a maggior ragione è possibile imputare a Elkann le conseguenze di diverse scelte manageriali errate che sono costate al Paese opportunità in una fase in cui l’ad di Exor viene presentato come l’unico possibile “salvatore” della Juventus. Anche una testata non certamente orientata al mondo corporate come Il Fatto Quotidiano, per fare un esempio, ha affidato ad Elkann il compito di “salvare la cassa” del club bianconero.
Le scelte manageriali sul futuro di Fca in diversi casi si sono dimostrate poco lungimiranti. Stellantis, la compagnia nata dalla fusione tra Fca e la francese Psa, è apparsa come il frutto di una conquista transalpina di quel poco che restava di know-how automobilistico italiano. L’Inchiesta ha di recente sottolineato come dal Piemonte alla Basilicata, e principalmente in casa Alfa Romeo, Stellantis agisca con l’accetta sull’indotto italiano e ha agito con l’obiettivo di “comprimere lavoro e competenze italiane e tagliare la produzione tricolore”. Elkann, presidente, ha delegato quasi completamente a Carlos Tavares, ad e decisore finale, le competenze per definire uUna strategia che, con tutta evidenza, non porta da nessuna parte e che vede due modelli maturi come Giulia e Stelvio che non hanno avuto neppure l’ibridazione, aggiornamento motoristico che pure era previsto ai tempi di Fca. Il nuovo suv Maserati Grecale non è supportato da una adeguata campagna pubblicitaria che, invece, viene abbondantemente effettuata per i modelli propriamente francesi del gruppo Stellantis”.
In precedenza, Elkann era stato fautore della cessione da parte di Exor di Magneti Marelli, venduta nel 2018 a Calsonic Kansei, controllata dal fondo Kkr, per 6,2 miliardi di euro al fine di rafforzare la patrimonializzazione del gruppo. Nella strategica azienda della componentistica l’accordo iniziale prevedeva una difesa strutturale dell’occupazione in Italia tutelata dall’antico gruppo milanese. Ebbene, come riporta StartMag, “a dicembre 2020 Marelli aveva accumulato 8,4 miliardi di euro d’indebitamento con una trentina di istituzioni finanziarie. Per il 2021 Marelli ha registrato un quarto anno consecutivo di perdite”. Nel gennaio 2022 in Italia ha annunciato 550 esuberi. E un gruppo che avrebbe potuto essere strategico e decisivo nel quadro della fusione Stellantis per rafforzare il portato della componentistica italiana al nuovo colosso euro-americano dell’auto è stato ceduto per esigenze di cassa legate al rendiconto finanziario molto caro agli investitori di Exor. Cioè gli Agnelli-Elkann. I quali a inizio 2021 di fronte all’offerta dei cinesi di Faw per Iveco, la storica società dei camion che fa ora parte di Cnh Industrial, controllata a sua volta dalla holding Exor, erano pronti a cedere anche un altro gioiello di famiglia. Prima che la politica, il governo Draghi e soprattutto l’allora Ministro dello Sviluppo Economico Giancarlo Giorgetti facessero muro.
Passando a GEDI, i primi due anni di gestione Elkann sono stati un bagno di sangue finanziario. Oltre 200 i milioni di perdite complessive. Nel 2020 le perdite erano state di 166 milioni. I ricavi sono ancora scesi dai 533 milioni dell’intero 2020 ai 520 milioni della fine dello scorso anno. Repubblica va a picco e nel gruppo editoriale si difende solo chi sembra essere più libero rispetto alla linea, iper-draghiana nello scorso esecutivo, elitista dopo il 25 settembre scorso, atlantista prima ancora che a favore dell’Italia della storica testata fondata da Eugenio Scalfari. I successi editoriali di Limes, in quest’ottica, insegnano. E la cessione de L’Espresso della GEDI targata Elkann ha lasciato a molti l’amaro in bocca.
Chiudiamo la panoramica sugli errori manageriali di Elkann con una chiosa tutt’altro che secondaria per chi si interessa al mondo dei motori: il rifiuto di richiamare Jean Todt nello scorso gennaio alla guida della Ferrari di Formula Uno grida, col senno di poi, vendetta. John Elkann ha chiuso la porta allo storico manager vincitore dei Mondiali all’epoca di Michael Schumacher nella convinzione che potesse fargli molta più ombra, in caso di vittoria, rispetto al “San Sebastiano” di Maranello. Come è andata a finire, purtroppo, lo sappiamo. E di questo fatto anche i tifosi bianconeri a cui il ramo americano della famiglia Agnelli-Elkann si presenta come salvatore della patria dovrebbero prendere buona nota…