Mentre il sentimento popolare, almeno quello dei non juventini, accoglie le accuse che Consob e magistratura rivolgono alla Juventus con la certezza della colpevolezza e la catartica speranza che il club bianconero scompaia dalla faccia della terra e venga sparso il sale sulla Continassa (operazione necessaria per ripulire il calcio, si legge un po’ dappertutto tra social, giornalisti, tifosi e giornalisti-tifosi), con coerenza il mondo del pallone italiano non ha perso tempo per dimostrare tutto il rigore e l’ostinato rispetto per regole e scadenze che da sempre lo contraddistingue.
Lo ha fatto attraverso un emendamento al Decreto Legge Aiuti quater nel quale il calcio, esposto nei confronti del Fisco per oltre mezzo miliardo da saldare entro il 22 dicembre, chiede la rateizzazione del debito fino a un massimo di 60 rate mensili di pari importo, con il versamento delle prime tre rate entro il 22 dicembre 2022. Cinque anni per pagare debiti (ritenute Irpef, contributi previdenziali e assicurativi, Iva e imposte dirette) che il calcio avrebbe dovuto saldare in realtà prima entro il 31 agosto, quindi entro il 16 dicembre, ma per il quale ha ricevuto diversi differimenti sino a quello attuale del 22 dicembre, utile per scavallare le scadenze federali ed evitare alle società inadempienti, già da subito, deferimenti e sanzioni da parte della giustizia sportiva.
Cofirmatario dell’emendamento all’articolo 13 del decreto, che verrà votato la prossima settimana, è il senatore Claudio Lotito, nelle vesti di rappresentante del popolo eletto in Molise, ma più che altro di presidente della Lazio, e nell’emendamento si chiede chiaramente che la rateizzazione avvenga «senza sanzioni penali e sportive», né oggi né in futuro, perché la prossima scadenza federale per verificare i debiti con il Fisco è prevista per il 16 febbraio. Secondo quanto ricostruito dal Fatto Quotidiano, sul podio dei club più indebitati per il mancato saldo di Irpef e contributi ci sarebbero Inter (50 milioni), Lazio (40) e Roma (38), seguite via via da gran parte degli altri club, anche di B e di C, che avevano approfittato della sospensione causa Covid degli adempimenti fiscali. Tra le società di A, sarebbero quattro (Lazio, Torino, Sampdoria e Verona) quelle ad avere deciso di rinviare tutti i versamenti dall’inizio dell’anno in corso.
Nell’audizione dello scorso 28 novembre alla V Commissione permanente (Bilancio) del Senato, il presidente della Lega di A, Lorenzo Casini, sponsorizzato da Lotito, ha ricordato come l’articolo 13 non correggesse un vizio già emerso “quando in modo irragionevole è stato previsto lo spostamento del termine di pagamento dal 31 agosto al 16 dicembre 2022, per di più con la contestuale sospensione di ulteriori pagamenti fiscali (...), senza tuttavia dare più la possibilità di pagare a rate. L’irragionevolezza di questa scelta è evidente, posto che trova quale unica motivazione quella di non produrre alcun impatto sui saldi di finanza pubblica e dunque la necessità di incassare tutti i pagamenti entro la fine del 2022. Ma questa pur comprensibile esigenza di cassa è pressoché inconciliabile con l’andamento dei ricavi del settore dello sport e con la sopracitata crisi di liquidità dello sport professionistico (in particolare il calcio e il basket)”, si legge nelle conclusioni.
Insomma, “non produrre alcun impatto sui saldi di finanza pubblica” non è una motivazione sufficiente per il calcio, sebbene in linea teorica dovrebbe essere sufficiente per lo Stato e il governo. Eppure l’emendamento bipartisan sembra trovare apprezzamento in tutto l’arco parlamentare, da Forza Italia (il partito di Lotito) al Pd, da Fratelli d’Italia al Movimento 5 Stelle, con qualche rimostranza da parte di alcuni esponenti della Lega e quella già esplicitata da Matteo Renzi in un PPS, post post scriptum, nella sua ultima e-news: “Trovo scandaloso che in una manovra che aumenta il costo della benzina e delle sigarette, i soldi vengano dati alle squadre di calcio di serie A perché hanno problemi di bilancio. Per me è uno scandalo assoluto. Capisco che il calcio porta voti. Capisco che molti editori hanno una squadra di calcio. Ma dare i soldi alle squadre di serie A è una vergogna assoluta”. Ora, posto che non si tratterebbe di “soldi dati”, dunque di ristori diretti, quanto di una dilazione fiscale non senza conseguenze per le casse statali, a quanto pare l’emendamento veleggia verso l’approvazione, nonostante si configuri come un aiuto di Stato piuttosto discutibile.
Magari non sta passando sotto silenzio, ma al momento non pare scandalizzare (quasi) nessuno, e la memoria torna al decreto salva-calcio del dicembre 2002, governo Berlusconi II, che l’allora ministro Maroni definì “un regalo alle squadre di calcio”, già allora oberate di debiti causati da gestioni scellerate e di più che dubbia liceità. Accadeva vent’anni fa. E no, la colpa non era del Covid. Allora come oggi.