A metà ottobre, in un intervento alla Luiss nell’ambito del corso “Il giurista entra in campo” tenuto da Guglielmo Stendardo, avvocato ed ex calciatore di Lazio, Atalanta e Juventus, fra le altre, il direttore sportivo Igli Tare aveva osato affermare l’inosabile. A precisa domanda (“Come mai nel calcio ci sono società che hanno tutti questi debiti e in un altro sistema sarebbero fallite?”), il dirigente aveva risposto così: “Oggi ci sono società, anche di prima fascia, come Juve, Roma, Milan, Inter, che tecnicamente sono fallite ma vengono tenute in vita dal fatto che il sistema ne ha bisogno”. Frase che fece rumore, ma che in fondo racconta una realtà: le logiche che governano il mondo del calcio, in altri settori, non potrebbero avere cittadinanza. Ecco perché, al netto del clamore mediatico, quando si muovono le Procure ad analizzare i bilanci dei club (e non lo fanno molto spesso), qualcosa di sospetto lo trovano sempre. Il caso che sta travolgendo la Juventus, tra le contestazioni della Consob – il club bianconero è quotato in Borsa – e l’inchiesta Prisma in merito tanto alla”manovra stipendi” quanto alle plusvalenze, riguarda nello specifico una società (l’unica intercettata, e le intercettazioni fanno tutta la differenza del mondo in un’inchiesta), quando però il presidente della Figc Gravina invita a stare calmi “perché temo che quel tema possa riguardare anche altri soggetti”, salvo poi limare spiegando l’intenzione di riferirsi al linciaggio mediatico (“una reazione esasperata che in Italia, in generale, rende colpevole chi ancora non è stato condannato”), spiega perché, a fronte della condanna già unanime del sentimento popolare, cane non mangia cane, e cioè gli altri club non stiano cavalcando l’onda, al contrario di quanto accadde per Calciopoli.
Il motivo? Lo si può leggere nella filigrana delle parole del ministro dello sport, Andrea Abodi: “La situazione della Juventus è soltanto la punta estrema e, per certi versi, anche clamorosa, di un fenomeno su cui non possiamo voltarci dall’altra parte”, dice Abodi, il quale aggiunge che “probabilmente la Juventus non è l'unica” ed è il momento “di mettere ordine e di andare a controllare in maniera più puntuale”. Abodi ha anche proseguito sostenendo che “ci sono società che si comportano in maniera estremamente corretta ed altre che, evidentemente, hanno interpretato in maniera troppo particolare le norme”, ma gli stessi protagonisti del mondo del calcio sono i primi a sapere che, al di là dell’immagine proiettata, “quelli che si comportano in maniera estremamente corretta” spesso, semplicemente, non sono stati beccati. Ma la questione non è solo che lo fanno tutti, è più raffinata: è che a tutti va bene così.
Cosa significhi “mettere ordine” non è molto chiaro, per un mondo, quello del calcio, che vive da anni di situazioni borderline ben conosciute e tuttavia accettate dalla federazione. Fra plusvalenze discutibili (ma lo scoglio è sempre l’intuitu personae, tenuto presente che servono sempre almeno due club e che la giustizia sportiva si è spesso arenata in merito), operazioni di finanza creativa, doping amministrativo, situazioni consentite ma limite come le multiproprietà (per esempio il caso dei frequenti andirivieni di calciatori sull’asse Udinese-Watford, con rivalutazioni assai significative dei valori dei calciatori e dunque effetti benefici sui bilanci), persino sponsor che compaiono e spariscono a seconda delle necessità (qui un interessante articolo di Affari Italiani), per “mettere ordine” sarebbe necessario azzerare totalmente il sistema, aspetto impossibile, che (al di là delle belle parole d’intento) non conviene neppure alle istituzioni calcistiche e che finirà per rendere parziale, e per questo contestabile, qualsiasi provvedimento della giustizia sportiva.
Che il calcio viva di sistemi distorti, qualche settimana fa lo aveva di nuovo evidenziato anche la Procura di Napoli, indagando sull’utilizzo di false fatturazioni su presunte operazioni inesistenti relative alla compravendita di alcuni giocatori tra club, calciatori e procuratori. Chiudendo una lunga indagine su fatti risalenti al periodo 2009-2014 (ma con le ipotesi di reato pre 2013 prescritte), i pm De Simone e Capuano – come riportato da Il Mattino – hanno chiesto 13 mesi di reclusione per Adriano Galliani (ex amministratore delegato del Milan, oggi al Monza) e Antonio Percassi, ex patron dell’Atalanta, un anno per il presidente del Napoli Aurelio De Laurentiis (peraltro poi indagato, in un altro caso, anche per l’operazione Osimhen), due anni e otto mesi per il manager Alessandro Moggi. Sotto accusa un sistema del quale le società erano vittime, per quanto ben consapevoli, perché al momento della stipula dei contratti i procuratori assumevano le vesti di consulenti dei club acquirenti, facendo ricadere i costi sulle società stesse: questa l’ipotesi degli inquirenti.
Il tutto senza dimenticare che, tornando al discorso di Tare, il calcio continua a chiedere provvedimenti ad hoc al Fisco per rateizzare centinaia di milioni di versamenti non saldati dai club entro le scadenze. Per ora ha ottenuto solo un differimento dal 16 al 22 dicembre, fondamentale per consentire ai club di non incappare in sanzioni sportive, dal momento che entro il 16 dicembre, come rileva Michele Spiezia su Storiesport, “le società di serie B e Lega Pro dovevano dimostrare di non avere debiti né verso i tesserati (stipendi) né verso il Fisco al 30 novembre 2022”. Mettere ordine significherebbe anche evitare il rischio paradosso che vede sostanzialmente penalizzati coloro che le scadenze fiscali le rispettano.