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Red Ronnie: “I token ai concerti
sono una truffa”. E sulle frequenze
in musica volute da Hitler...

  • di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

13 settembre 2022

Red Ronnie: “I token ai concerti sono una truffa”. E sulle frequenze in musica volute da Hitler...
Messi da parte i complotti (almeno in parte) abbiamo incontrato il giornalista a un evento dove ha aperto il suo archivio video pieno di chicche e abbiamo provato a parlare con lui solo di musica. Ne sono emersi momenti memorabili: con Vasco Rossi (quando gli cantava “voglio una fi*a spericolata” al posto di vita”), i duetti casalinghi tra Luciano Pavarotti e Simon Le Bon e le prime interviste mistiche a Franco Battiato. E se sulla questione Jova Beach Party non si è fatto un’idea (“Lorenzo non lo vedo da dieci anni”) ha invece una opinione ben precisa sui token, la moneta digitale che viene utilizzata ai concerti: “Sono una truffa”. Mentre continua la sua battaglia contro le frequenze in musica a 440 Hz: “Pare che Goebbels consigliò Hitler di ordinare a Wagner di cambiarla..."

di Gianmarco Aimi Gianmarco Aimi

Ormai quando si fa il nome di Red Ronnie viene naturale associarlo alle teorie complottiste, alla battaglia sui vaccini (che lo ha visto schierato tra l’area novax e quella degli scettici) e a un certo punto persino agli avvistamenti di alieni. Il tutto è anche stato sintetizzato dal profilo che Maurizio Crozza gli ha cucito addosso parodiandolo nel suo programma. Ma c’è stato un tempo in cui il giornalista di San Pietro in Casale, in provincia di Bologna, era un punto di riferimento per il racconto della musica in Italia, sia di casa nostra che per quella che arrivava dall’estero. È questo il motivo che ci ha spinto a incontrarlo in una calda serata di agosto alla Darsena del Sale, un luogo suggestivo che ha appena inaugurato a Cervia e dove gli spettacoli si svolgono su una piattaforma galleggiante sull’acqua. È qui che Red Ronnie ha riaperto il suo sconfinato archivio video e deliziato i presenti proiettando alcuni degli incontri più iconici che gli è capitato di immortalare: da quando Vasco agli esordi gli cantò in anteprima “Vita spericolata” (e allora al posto di “vita” usava la parola “fi*a”) alle prove casalinghe del duetto tra Simon Le Bon e Luciano Pavarotti seduti su un divano , fino alle storiche interviste a Franco Battiato nelle quali rivelava per la prima volta di essersi avvicinato allo studio della spiritualità. Alla fine di queste due ore deliziose, con chicche per veri cultori, lo abbiamo incontrato per parlare solo di musica. Ci siamo riusciti, ma qualche “complottino” è emerso lo stesso: tra i token che lui considera “la nuova truffa” e la frequenza a 440 Hz che attribuisce a quando “Hitler la ordinò a Richard Wagner” (ma il compositore è morto sei anni prima della nascita del Führer, quindi se ordine c'è stato dev'essere stato successivo, nda). 

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Vasco Rossi e Red Ronnie

Partiamo dalla tua lunga amicizia con Vasco Rossi, che hai ricordato facendo vedere diversi video dove, ai suoi esordi, ti cantava canzoni che non erano ancora state registrate.

Con lui è un rapporto di amicizia vera. Mi faceva ascoltare in anteprima canzoni che poi sarebbero uscite 7-8 anni dopo. Quando mi ha cantato “voglio una fi*a spericolata” (poi diventata “Vita spericolata”) mi ha fatto sentire anche un pezzo scritto per Mina, che lei gli aveva chiesto, e lui si è dimenticato di mandargli. Quando l’ho fatto sentire al figlio di Mina, Massimiliano Pani, mi ha detto: “Ma è bellissima, non sapevamo l’avesse composta”. Così come ho ascoltato anni prima dell’uscita il “Walzer di gomma” o “Tango (della gelosia)”.

Com’è cambiato Vasco rispetto agli esordi?

Lui è un artista estremamente onesto, che non finge mai. Quindi il suo cambiamento l’ha dichiarato. Chi avrebbe mai immaginato che il Vasco di “Vita spericolata” o “Fegato, fegato spappolato” cantasse un giorno “io e te sul divano a parlar del più e del meno” in “Come nelle favole”. Cambiando non ha proposto un finto giovanilismo. Tanto che già dai primi clip si è messo a nudo. Vasco è onesto, a differenza di tanti altri. Anche quando io non sono d’accordo con lui.

Soprattutto durante la pandemia ve lo siete detti in faccia che avevate posizioni differenti.

Ma certo, perché lui è sincero nella vita e in ciò che canta. Per questo ha avuto successo. La gente puoi fregarla per un po’, ma non per tanto. In Italia ci sono pochi artisti, lui sicuramente lo è. Come lo è Edoardo Bennato. Ci sono tanti musicisti famosi, ma non sono artisti. Sono mestieranti.

Ci può essere un erede di Vasco?

No, come non ci può essere un erede di Pavarotti, della Callas o di John Lennon e Jimi Hendrix. Vasco ricordo quando gli facevo i primi videoclip, come di “Siamo solo noi” o “Toffee”. Lo riprendevo io e un giorno gli dissi che non potevo più farlo. E lui: “Ma dai, però son belli...”. Ma non era il mio mestiere. Allora gli presentai Peter Christopherson, che ora è volato via, che era nei Throbbing Gristle ma soprattutto nello studio Hipgnosis. Sua è la foto dell’uomo che brucia nella copertina dei Pink Floyd.

E quindi?

Ho fatto vedere a Vasco il video dei The The sul brano “Infected”. Ne rimase entusiasta. Vado a Londra, incontro Christopherson e gli chiedo se può fare il videoclip di un artista italiano. Gli faccio ascoltare il provino di “C’è chi dice no” e lui all’inizio è scettico: “Mah, mi sembra un rock normale...”. Poi mi chiede di tradurgli il testo. Dopo averlo letto mi disse: “Questo video lo voglio fare, non c’è nessuno che scrive così neanche in Inghilterra. È spettacolare”. Infatti poi con Vasco fece “C’è chi dice no” e anche “Liberi Liberi”.

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Red Ronnie con Pavarotti, gli U2 e Brian Eno

Davvero non c’è nessuno che ti colpisce?

C’è una deriva negli artisti di oggi, usano i social e dicono: “Non ho più bisogno di fare tv”. E quindi gli lascio i social, io vado dai giovani.

Durante la serata hai accennato al percorso dei musicisti di oggi, che si sintetizza in questo modo: partecipare a un talent, arrivare a Sanremo e cercare di riempire l’Arena di Verona.

Tutti i ci provano, ma guarda che i sold out negli stadi sono tutti finti. Con rispetto per Alessandra Amoroso, che è una brava cantante, ma non può fare gli stadi. A differenza di Ultimo, che è un ragazzo diverso. Un anno e mezzo fa abbiamo parlato al telefono e gli ho detto: “Non ti fai più vedere?”. E lui: “Perché, cosa devo fare, con questa pandemia la gente non guarda lontano, non ci sono emozioni”. Ma in tv non ti hanno offerto niente? l’ho incalzato, e ha replicato: “Come no, anche di fare il super ospite a Sanremo. Ma secondo te io posso fare una cosa del genere?”. È uno che ha capito tutto secondo me. Non come Achille Lauro che è il nulla totale.

Oltre ai video inediti nel tuo archivio, mi ha incuriosito la teoria sulle frequenze che hai spiegato. In pratica l’accordatura a 440 Hz, la più utilizzata nella musica, sarebbe un retaggio del regime nazista.

Pare che fu Joseph Goebbels, uno dei più importanti gerarchi nazisti, a consigliare direttamente Adolf Hitler di ordinare a Richard Wagner di cambiare la frequenza, che prima era 432 Hz (ma il compositore era morto sei anni prima della nascita del Führer, quindi se ordine c'è stato dev'essere stato successivo, nda)

E perché lo avrebbe fatto?

Perché l’obiettivo di un potere è non farti stare bene. Se ascolti una buona frequenza stai meglio. Infatti Giuseppe Verdi si incazzò di brutto. Ma abbiamo anche un esempio più recente come “Dark Side of the Moon” che è tutto registrato a 432 Hz e ancora oggi è fra i primi cento dischi nelle classifiche di vendita.

Lo sai che poi ti accusano di essere complottista...

Ti porto un altro esempio. Una sera ero con Umberto Tozzi che mi diceva la stessa cosa e mi pigliava per il culo: “Dai, non romperei coglioni con la storia della frequenza”. Ok, gli ho detto. Facciamo una prova. Nel ristorante c’era una chitarra, gli ho chiesto di suonare una sua canzone e poi di riaccordare lo strumento a 432 Hz e risuonare lo stesso pezzo. Quando ha finito mi fa: “Cazzo è più bella, mi fa stare anche meglio”. Noi siamo fatti di frequenze!

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David Bowie e Red Ronnie

Per stare in ambito musicale, ho sentito che ultimamente stai iniziando un’altra battaglia, quella contro i token, la moneta digitale utilizzata a molti eventi.

Era da tempo che non andavo a un concerto. Sono stato a quello dei Duran Duran al Lido di Camaiore. A parte il fatto che mi sono arrabbiato per la disorganizzazione. A chi vende concerti oggi non gliene frega più niente del pubblico. C’è gente che aveva comprato il live di Paul McCartney e si è ritrovato, grazie all’accordo con lo Stato, il voucher per quello di Gigi D’Alessio. È un amico, ma non è la stessa cosa, o no?

Decisamente no.

Mi sono reso conto che il luogo era pessimo. Pur essendo bellissimo, non c’era nessun collegamento con la stazione, non hanno istituito pulmini, i biglietti erano altissimi, i bagni promessi come “esclusivi” erano pochi, sporchi e senza carta igienica. In più c’erano i token che tutti adesso stanno applicando. Credo proprio sia una truffa.

Come mai?

Intanto quando entri con la tua acqua te la vietano, la devi prendere dentro. Vai al bar e non puoi comprarla con i soldi, ma con questi token. Minimo devi acquistarne cinque, costano 2 euro l’uno. Per cui spendi minimo 10 euro. Dei pezzettini di plastica. Non mi hanno dato neanche una ricevuta, infatti non vale a livello fiscale. Quindi stai pagando in nero. Alla fine se ti rimangono sei token rivorresti indietro 12 euro, però non te li danno. E non puoi usarli nemmeno in un altro concerto, perché cambiano colore. Allora l’ho scritto e così mi hanno sbattuto fuori dal concerto di Vasco…

Nella tua carriera hai intervistato tutti i personaggi più simbolici della tua generazione, persino Fidel Castro. Non a caso l’incontro si è chiuso con uno spezzone del vostro incontro. Chi ti manca a cui rivolgere qualche domanda?

Del passato ce ne sarebbero tanti, Jim Morrison, Jimi Hendrix, Janis Joplin, Elvis Presley. Dei viventi Novak Djokovic, che per me non è solo un tennista ma un artista. In generale molto pochi. Ti direi Paolo Nutini, che ultimamente ha scritto un testo molto bello. Mi piacerebbe incontrare per la terza volta Paul McCartney. E poi Jeff Beck, che non ho mai intervistato. Ma chi organizza i suoi concerti credo sia quello che ho criticato per i token, per cui a questo giro mi sa che salta ancora.

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L'immagine di copertina di Facebook di Red Ronnie con molti dei suoi incontri storici

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