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Pisto is Free

A Gianni Vattimo devo dire grazie (ma l'ho capito solo ieri)

Moreno Pisto

20 settembre 2023

La morte di Vattimo sblocca un ricordo personale. Che ci porta a capire che nella vita bisogna scegliere di fare una cosa molto importante. Soprattutto oggi

di Moreno Pisto Moreno Pisto

L'ho capito solo ieri, mentre guardavo un reel su una pagina dedicata agli anni Novanta. Liam Gallagher cantava una versione acustica di Champagne Supernova, c'è una frase che mi fa impazzire: slowly walking down the hall, faster than a cannonball. Poi ho aperto whatsapp e ho letto la notizia: Gianni Vattimo è morto. Mi sono alzato, sono andato a cercarlo, sì era lì, un suo libro, e l'ho aperto. Dialoghi con Nietzsche. Carmelo Bene diceva che tanti si definiscono pazzi ma i veri pazzi sono davvero pochi. Nietzsche era uno di questi. Ecco, Vattimo con Nietzsche si sentiva di poterci dialogare a un secolo di distanza. E lì ho incominciato a capire.

Alla fine degli anni Novanta volevo fare filosofia ma le solite menate - poi che lavoro fai? -  mi hanno portato a Lingue e letteratura straniere. Un ambiente devastante: aule piene di gente, lezioni noiose, io volevo parlare inglese e invece era tutto in italiano. A Firenze trovai una ragazza logorroica. Non è un modo di dire: era proprio patologica. Mi portava a casa sua e seduti per terra, spalle alle pareti bianche, con sua madre di là in un'altra camera, preparava bonghi, cilum, vaporizzatori. Lei non stava mai zitta, io fumavo e non sentivo quello che mi diceva. Il primo esame su Thomas Stern Elliot - di cui non avevo capito niente - ho preso 16. Il minimo era 18. Ho lasciato la Toscana e sono andato a Margate e poi a Broadstairs, due paesini inglesi sul mare. Ci sono stato qualche mese e quando sono rientrato ho detto: basta, mi iscrivo a  filosofia. Che il mondo si fotta. 

Gianni Vattimo
Gianni Vattimo

In 2 anni e mezzo ho fatto il percorso di studi che se va bene lo finisci in 4. Nella facoltà di via Bolognese eravamo in pochi, spesso mi fermavo a casa del Nano, non mi ricordo nemmeno la via. In quella mansarda ci vivevano anche un ragazzo di Palinuro che passava tutto il giorno a letto a leggere L'idiota di Dostoevskij e il fratello maggiore del Nano, Riccardo, anche lui lo vedevo spesso in un letto ma sempre con qualche ragazza diversa. Io e Il Nano fumavamo erba e hashish e studiavamo e parlavamo di filosofia. Lui aveva un bastardino che si chiamava Il Ciurdo, io una bastardina che si chiamava Nina. Il Ciurdo usciva libero per le strade. Per insegnare la stessa cosa a Nina li legavamo insieme: arrivavano a un incrocio, Ciurdo si fermava al bordo del marciapiede, Nina tirava ma lui non si muoveva. Ci stavamo prendendo il rischio della libertà, io e lei. Dopo qualche giorno e dopo qualche incidente sfiorato imparò. E cominciò pure lei a girare libera. Non ho più avuto un cane perché non posso sopportare il concetto del guinzaglio.

Arrivò il giorno del primo esame del percorso di studi. Mi ricordo la telefonata con mio padre: come è andata? Temeva il peggio, fiducia zero giustamente, vivevo in una mia bolla. Risposta: ho preso 29. Lo sentii felice e incredulo: davvero? Me ne accorsi subito, non appena Sergio Vitale, corso di psicologia generale, cominciò la lezione parlando della sincronia e che le cose succedono esattamente e magicamente quando devono succedere, e che il mondo - per farle accadere - deve girare in tempi e modi e con meccanismi precisi e ignoti: io dovevo essere lì.

Mi veniva tutto facile: una volta mi presentai a un esame ma ero in ritardo di un giorno, guardai la lista degli esami di quella mattina e ne vidi uno su Rousseau. Di Rosseau avevo già letto quasi tutto: bene, dissi, faccio questo. Presi 30. A un altro ci arrivai completamente impreparato e a una studentessa in fila per entrare chiesi gli appunti e lessi la parte dedicata a un certo Dewey che non sapevo nemmeno come si pronunciava. Quando mi misi a sedere il professore mi disse: partiamo da Diùi. Vuoto. Poi collegai: ah ecco come si pronuncia. Presi 29. La studentessa 23. Un'altra volta ancora, esame Filosofia della Scienza, il professor Bernini - uno che a mensa camminava e parlava da solo - mi chiese di partire dall'argomento a piacere. Era l'unico che sapevo. Poi mi fece una domanda: scena muta. Seconda domanda: scena muta. Alla terza domanda gli squillò il telefono e si allontanò. Quando tornò era raggiante: "Mi hanno avvertito che Berlusconi in conferenza stampa ha appena detto Romolo e Remolo ahahhaha. Le va bene 28?". Va bene, certo.

Gianni Vattimo
Gianni Vattimo

Il mio docente preferito era Sergio Givone, un tipo rigido e illuminato, dallo stile di scrittura magistrale (i suoi romanzi sono più belli dei suoi saggi). Insegnava Estetica. Era torinese, come Gianni Vattimo, più anziano di lui e per alcuni anni suo mentore. Di esami con Givone ne ho dati tre e ogni volta molti testi da leggere erano proprio di Vattimo. Uno, appunto, è ancora nella mia libreria, ha resistito a 25 anni di traslochi e trasferimenti e di vita. Ieri l'ho riaperto, sui miei appunti mi ero segnato dove parlava della morale secondo Nietzsche, che è un prodotto dell'istinto di vendetta, un prodotto degli uomini inferiori di fronte alla libertà creativa dei giganti. La chiama virtù del gregge.

Bene, le cose poi finiscono: io e il Nano ogni tanto ci siamo rivisti ma non abbiamo più ritrovato quella magia, chissà se il tipo di Palinuro ha mai finito di leggere L'idiota e chissà dove cristo era quella mansarda. Nel frattempo non ho ancora imparato qual è la camminata per andare lentamente ma comunque più veloce di una palla di cannone ma la morte di Vattimo mi ha ricordato che non importa essere per forza un gigante o un pazzo per scegliere di fare ciò che vuoi nella vita, che bisogna puntare al cuore e sapersi ascoltare, fidarsi della propria volontà e trovare e seguire la propria missione. Questo insegna agli altri chi decide di fare ciò che desidera contro tutto e tutti, come ha sempre fatto lui. Ecco perché in qualche modo devo dire grazie a Gianni Vattimo. Anche se l'ho capito solo ieri.

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