Cercare qualcuno e non trovarlo più. O meglio, cercare la ragione per cui la persona che ami ti è stata portata via per sempre. Un incidente? Una macchina? Perché è successo? Perché nessuno parla? Chi ha spezzato per sempre una famiglia, un amore? E questa disperazione non si ferma, va avanti, incessante, finché – se arrivano – non giungono quelle maledette risposte che diano un senso alla fatica di inseguire la Verità. Per un anno intero, questa è l’odissea napoletana e notturna di Ciro (Francesco Di Leva), che insieme a suo figlio (Mario Di Leva) cerca chi ha investito e ucciso la loro moglie e madre. È un film – anzi, un esordio alla regia – quello di Giuseppe Miale Di Mauro (che adatta per il grande schermo il suo romanzo La strada degli americani, pubblicato nel 2017), tenebroso, cupo, autentico e crudo. Napoli è al centro, ma il film non si lascia inghiottire dalla città: la storia avrebbe potuto svolgersi ovunque, perché al centro ci sono sempre e soltanto l’agonia di un padre e di un figlio e la loro battaglia per fare luce sulle zone d’ombra, sulle ferite irrisolte delle loro vite.

Il senso di colpa, “Dimmi che non sono stato io”, ripete il padre a suo figlio. Perché durante quell’incidente, Ciro non c’era. È un pensiero che lo angoscia lo giudica, lo scarnifica. E così tutto il nero e la notte fonda del film è pure dentro di Ciro. Una via crucis senza fine (o quasi) di un padre che se desidera cercare da un lato la spiegazione della morte di sua moglie, priva a un’altra vita normale di stare al mondo. Quella di suo figlio, sempre con lui, ma che ha solo tredici anni e forse la vita ancora non la sa e la vuole conoscere fuori da un auto, di giorno. La ricerca della causa di una morte diventa in Nottefonda causa di tante altre piccole sparizioni. Di senso per Ciro che comincia a fare uso di stupefacenti, di senno per sua madre e due suoi amici di vecchia data, Rosario e Carmine che si sforzano e cercano di svegliarlo dal suo incubo.
