Registi, produttori, scenografi, attori… la maggior parte dei premiati ha avuto qualcosa da dire.
C’è chi ha parlato dello stato di salute – piuttosto precario – del cinema italiano (come il grandissimo Avati), chi ha chiesto dignità vera nella società, e non solo sublimata nell’arte (Elio Germano), chi ha ricordato l’Ucraina e i bambini di Gaza (Francesca Mannocchi), e… Ecco cosa è successo, e perché è stato, davvero, tutto bellissimo
I David di Donatello si sono conclusi, ma nulla resterà confinato nello studio 5 di Cinecittà, dove tutto ha avuto inizio. La diretta, i premi, le foto, i dibattiti: tutto bellissimo. Perché la cosa più significativa di questa serata non sono stati i film e i vincitori, ma la sana e doverosa polemica, il desiderio da parte di molti di fare chiarezza su temi complessi e spesso oscuri del nostro mondo in frantumi. Luce e attenzione sulle devastazioni che si consumano a pochi passi da noi. Quella in Ucraina, raccontata con forza da Francesca Mannocchi nel suo documentario vincitore della statuetta. O sulla strage in corso a Gaza. Tra i primi a parlare Stefano Sardo, sceneggiatore premiato insieme al team di scrittura per L'arte della gioia di Valeria Golino: “Abbiamo rubato la nostra parte di gioia. Qualcun altro, dall’altra parte del mare, sta rubando la vita e la speranza a qualcun altro. Non dimentichiamolo”. E poi lo stato di salute del cinema italiano. Un tema che Pupi Avati conosce bene, e sul quale non ha mai avuto timore di esporsi. Anzi, proprio durante la cerimonia, dopo aver ricevuto il premio alla carriera, ha dichiarato: “Vorrei che Schlein telefonasse a Meloni per dirle: ‘Giorgia, ci vediamo mezz’ora con Giorgetti e parliamo di cinema italiano?’”. Appello a cui la segretaria del Pd ha prontamente risposto con un post Instagram.
Un dialogo necessario, urgente di fronte a un futuro che rischia di essere a pezzi anche solo a immaginarlo, quello di cui parla Avati. Per parlare di riforme, di quella scossa concreta di cui la settima arte italiana ha bisogno, soprattutto per sostenere le realtà più piccole, per salvare quei pesciolini dal grande mare in tempesta. “Le società piccole stanno facendo una fatica pazzesca e hanno bisogno di supporto”. Del resto, che la serata dei David sarebbe stata movimentata lo si intuiva già dalla mattinata in Parlamento. E dalle parole di Elio Germano: “Non sono solo le armi a far salire il Pil. Secondo un’indagine della Cassa Depositi e Prestiti, ogni euro investito nel cinema ne restituisce tre o quattro allo Stato” (Quotidiano Nazionale). Parole, riflessioni, quelle di Germano, che nel corso della lunga notte nello studio 5 si sono trasformate in una parentesi sul concetto e il significato di dignità, di pari dignità, a partire proprio da Berlinguer che ha interpretato nel film di Andrea Segre per cui ha ricevuto il David come miglior attore protagonista. “Voglio dedicare questo premio a tutte le persone che lottano e continueranno a lottare per il raggiungimento di quella parità di dignità che è nella nostra Costituzione. Parità di dignità, vuol dire che tutte le persone devono essere degne allo stesso modo, una persona povera deve avere la stessa dignità di una persona ricca, una donna deve avere la stessa dignità di un uomo, un nero la stessa dignità di un bianco, un italiano la stessa dignità di uno straniero, e permettetemi di dire un palestinese la stessa dignità di un israeliano”. Anche Margherita Vicario (tre David di Donatello) ha lanciato la sua frecciata. Mirata, lucida. Prima al cinema, poi al riarmo: “La speranza è che i nostri rappresentanti politici investano un sacco di miliardi nell’arte, e un pochino meno nelle armi”. E ancora Santiago Fondevila, produttore di Vermiglio: “Viva il cinema libero, viva i fondi pubblici”. Prima di lui, Maura Delpero, ben sette David, il primo per una donna nella categoria miglior regia di fronte allo stupore generale di chi giurava di ricordare anche Lina Wertmuller o Liliana Cavani trionfare in quella stessa vecchia categoria. Insomma, il bello è che, per una volta, bisogna dire che sono stati tanti, tantissimi i nomi e i cognomi delle persone che in diretta nazionale su Rai1 hanno voluto confidare le proprie paure, anche se per poco, a tutta l'Italia. Timori sulla vita che, come diceva Comencini, viene prima del cinema. E a chi si stesse chiedendo dove sta andando la settima arte italiana, oggi verrebbe da rispondere, “verso un futuro migliore”.
