Vi avevamo già parlato de L’arte della gioia di Valeria Golino, una serie che, soprattutto nella sua prima parte, convince pienamente: ipnotizza, seduce, scuote. Amara, potentissima, e francamente anche piuttosto sovversiva (era ora). Ricca di scene di sesso, di nudo, d’azione. In alcuni momenti sfiora la pura sperimentazione sbattendosene dei soliti moralismi. Una scelta audace perfino candidarla ai David di Donatello, specie in una sezione riservata ai film, quando L’arte della gioia film non è. Ma si può fare? Si può davvero candidare una serie ai David? La risposta è sì. Perché L'arte della gioia, dopo essere stata presentata al Festival di Cannes, un giro nelle sale italiane lo ha fatto la scorsa estate, come afferma Coming Soon, per poi finire in streaming su Sky. Quindi è tutto regolare (e qualcosa di simile era già successo anni fa con Esterno Notte di Bellocchio). Ad ogni modo, tornando ai meriti, L'arte della gioia doveva gareggiare per un motivo piuttosto banale: è uno dei prodotti italiani più riusciti dell’anno. Non sappiamo se il migliore, ma il suo essere fuori dalla norma è già una grande vittoria e andrebbe premiata. E il suo punto di forza poi, va detto, consiste soprattutto nell’interpretazione straordinaria della protagonista Tecla Insolia — candidata, non a caso, anche come miglior attrice protagonista e miglior attrice non protagonista per Familia di Francesco Costabile. La miniserie Sky, che ripercorre le paure, i desideri e la vita intima di Modesta, una giovane orfana nella Sicilia d’inizio Novecento, è un vero e proprio manifesto di sete di conoscenza, intelligenza e libertà. Passando da un convento austero a una villa dei potenti Brandiforti, Modesta attraversa mondi, identità, ruoli: il suo desiderio di essere tutto — e di esserlo a modo suo — ci ha conquistati. E, a quanto pare, ha conquistato anche i giurati dei David. La regia insieme alla sceneggiatura firmata da Francesca Marciano, Valia Santella, Luca Infascelli e Stefano Sardo), dà vita a un’opera magnetica, fresca, ben scritta.

Certo, è difficile che riesca a vincere, soprattutto se i concorrenti sono Sorrentino, Segre, Delpero e Comencini. Tra questi, il titolo più quotato, è il film che ha fatto sognare un’Italia “sedotta e abbandonata” anche agli Oscar, Vermiglio, un bel film capace di coniugare temi globali con un’intimità profonda, come la maternità, la natura, l’identità femminile. Tutto assieme, tutto (specifichiamo) affascinantissimo. In termini di innovazione per il cinema italiano però, L’arte della gioia rappresenterebbe una scelta certo coraggiosa, controcorrente più che migliore. È un segnale, forse, che anche la settima arte nazionale è pronto ad allargare lo sguardo e ad accogliere forme ibride, nuove, capaci di raccontare storie potenti, e spesso censurate, in forme giovani e per tutti (o quasi). Staremo a vedere cosa succederà, ma intanto questa nomination è già, di per sé, un’altra piccola rivoluzione, dopo l’enorme soddisfazione nel vedere tanti giovanissimi gareggiare nelle varie categorie della notte più attesa dal cinema italiano (ve ne avevamo parlato qui). Finalmente. Avanti così.

