La chiamano Generazione Zeta. Sembrerebbe un sottoinsieme di questo millennio. Il grande niente. Quindi enunciare termini come content creator è giustappunto un sovrappiù di inconsistenza che erige una fortezza intorno al disvalore della solita pedante vanità. Ci appaiono davanti a mò di simulacro esemplare le starlette di un tale sottoinsieme che non ha nemmeno una ideologia da cui affrancarsi. Le tiktoker, le youtuber, neologismi sgraffiati dalla lingua della green economy un po’ modaiola, un po’ paracula volendo. Non ingerire, ma produrre fatturato. Macinare amenità. Roba di questo genere, a cui ci siamo abituati abbondantemente. Per cui finisci su TikTok e osservi imbambolata e senza curiosità la verve spumeggiante della ragazza del momento. Non so, una certa Alessia Lanza. Ventenni, con un seguito di milioni di follower per non so davvero cosa. Non chiediamocelo. Stanno davanti a una fotocamera, pubblicano un video, dicono due cosette, cantano senza voce, intonate, come una monomelodia priva di suono. Tutto fila perfettamente, così deve essere. Facile e deprecabile insieme. Cioè non si trova un merito per il patrimonio di piacevolezze decisamente inutili. Ed è questo il segreto, il colpo da maestro, essere vincenti nell’assoluta mestizia di un vuoto. Una mancanza. Una poetica che non sussiste, non scardina un qualsiasi straccio di dibattito, non esiste il proscenio, l’impegno, la militanza.
Ce lo dice persino la musica, non ha bisogno di melodie. Ci bastano le ragazze dal seguito infinito, le ragazze delle sciocchezze sublimi. Il rapper che esegue versi scombinati e disarmonici, senza nemmeno una vera strada da raccontare, un Hyde Park, una Little Italy. Nella lusinga si consuma dunque tutto l’inganno di questo secolo, perfezionato persino rispetto agli altri. Essere una tiktoker riuscita fa professione, capite? Alessia Lanza, ventitré anni, è una professionista. Nel senso, finirà a fare la modella, a indossare un brand, azzerare la bellezza della lingua italiana, in luogo di un lessico brevissimo e da quadrilatero delle griffe. Ed è già la tristezza che scombina il mondo, essere partecipi di una rivoluzione involuta e antropologica schiantata verso la conformità allieta da connotati amorfi. Essere simpatiche, con un buon filter ad organizzare l’ovale e la pigrizia di taluni zigomi. “Sono loro stasera i migliori che abbiamo?”. Yes. I video della tiktoker del momento. Oggi si chiama Alessia Lanza. Chi è?
Eppure, l’ignoranza è tutta nostra. Perché quattro milioni di seguaci (terribile voce per indicare il corteo abulico o di indolenti) lo sanno eccome. Il suo fidanzato pare sia un rapper italo-domenicano. C’è un salto della specie, non so come dire, il tandem con una marcia in più. Non più velina sbarra calciatore. Ma tiktoker sbarra trapper o rapper, i quali insomma non sono esattamente gigli. E vedete la sostituzione non sarà un passaggio inavvertito, il cataclisma apportatore di superficialità avidissime di bellezza residua, da disintegrare, polverizzare, normalizzandola o ancor peggio volgarizzandola, rendendola alla stregua di un berciare da pianerottolo. Non ci sembrerà mai così magnifico il medio, l’accessibile, il modesto brioso, come di questi tempi e nei giorni a venire. L’eccezione sarà addomesticata qualora sventuratamente dovesse ancora accadere, ma abbiamo fiducia in cuor nostro che non succederà più. Il disavanzo sarà il must, una mandria di ebeti favolosi, indottrinati alla consolazione media, che non chiameremo per educazione: mediocrità.