Possiamo immaginare un travalicamento del significato – fragilissimo per vanità – della categoria. Gli influencer di cui sappiamo sono raccoglitori di disvelamenti facili: oltre questo non troverete che questo, sembrano mormorare sconfitti nel sorriso di una cover. Ovvero non troverete che calanchi di banalità, vuotezza fredda che spinge allo straniamento, la dissociazione in luogo di una morte spirituale, come talvolta ci sembra di avvertire nella routine metallica di una corsa in metropolitana, con i volti sgranati di certi automi negli slummy, che noi dimentichiamo di chiamare: nostri, prossimo, evangelicamente l’altro. L’influencer contiene nullità nel suo corredo splendido di supremazie accumulate, impietrate nello scarso valore elevato con una superbia straordinaria per il risultato. Di fatto, non cambia il mondo. Non trascina idee che deflagrano, irriverenza, dissidenze coraggiose, ferocissime pietà. Non salva un granché, nell’apparenza mobile di una staticità al contrario che proietta l’imprendibile, forme variegate di vaghezza. Dunque scorte di fatti imprendibili, non accaduti. Vendono qualcosa che corrisponde più o meno al mai. Ma lo abbiamo capito, anzi è molto più realistico vivere in una proiezione, che nelle vicende della nostra esistenza. Carne e sangue. Memorie primitive, e chi ricorda più cosa significhi: carne e sangue. Una vita senza medium di qualche specie. Senza filtri. O hater. O una vetrina in generale in cui esporre surrogati abbordabili dell’esoso mai. L’influencer che irradia luce di verità, predicatore folle, spogliato di tutto se non della nuda verità. L’influencer che salva qualcuno. Che lo fa nei medesimi grandi numeri di una Ferragni o di una vattelapesca, regine indiscusse di ciabattine con pelouche o di una camera bag richiestissima dal jet set e ovviamente introvabile. Stiracchiate e preziose perché tutti ne possiamo ammirare la perfezione rigida. E quei tutti badate rispondono al connotato di un ectoplasma moltiplicato per sé stesso, un ego formidabile, gigantesco e volatile come un pallone di azoto.
Un preambolo che mi serve per annunciarvi l’eccezione, l’influencer che usa milioni di follower per salvare il mondo. E mi piacciono le definizioni enfatiche perché rilanciano avventurose la visionarietà di un sopravvissuto. Si chiama Jeyder Rescata. Un musicista, un rapper. Sopravvissuto all’eroina e alla strada. Le calle di Guayaquil. La strada. Dove oggi muoiono i bambini. Fatti di eroina, tagliata con veleno per topi. E Jeyder Rescata li salva. Rescata. Riscattare. Si chiama in realtà Jeyder Teràn.
Entra nei barrio di certi luoghi così infami che la toponomastica borghese riesce a stento a pronunciare. Nemmeno il gergo della droga mondana, che fa figo, che fa una tendenza sempre uguale nel rock come nelle poetiche idiote e spesso americane di taluni film con i cosiddetti belli e dannati ne riuscirebbe a sillabare il senso, talmente prevedibili, da aspettarsi per sussultare davvero un tizio alla Benigni piuttosto che non so Matt Damon o qualche fuori di testa impacchettato dalla mecca del cinema da due soldi, per dire, quanto tutto sia esanime, oramai, visto, preconizzato.
Nel suo seguito, Jeyder, il redivivo, che la vita ha riscattato (con tutta la retorica necessaria a ribadirne il miracolo), oggi riscatta l’altro. Evangelicamente. L’altro è l’innocente, il purissimo, il bambino. Jeyder li tira a forza dalle baracche di una favela. Entra con i suoi. Un gruppo di ragazzoni, tutti salvati. Tutti riscattati. Coraggio, coraggio, esortano il bimbo, che vomita bava, perché è in crisi di astinenza da eroina. Capite? L’influencer diventa il folle trascinatore di sante verità. Ce la puoi fare, ragazzo. Dio è con te. Dice Jeyder, il rapper, con milioni di follower. Lo va annunciando nelle strade. Le calle di Guayaquil in Ecuador. È un folle, potremmo dire. Sì, senz’altro. Ma chi glielo fa fare. Invece che monetizzare un post, solleva l’infante dai suoi escrementi, in una latrina di fango. E va blaterando enormità inapplicabili come l’amore. La pietà. La misericordia. Rifulgendo di una luce diversa, stranissima, mai vista, una luce che solo in pochi riescono a udire. Avete capito bene, udire.