C’è una questione “romantica” che ha incendiato le pasionarie dei social. È molto bello leggere una tale rivoluzione, una barricata su cui ergere strette difensive, nel nome della letteratura. Neutra, questa sì. Non come l’orribile schwa, erta a politically correct, una forma fonetica gettata con il tonfo del cuore oltre il recinto, per una causa caotica, veramente, la cosiddetta inclusività, malgrado i pregressi storici avrebbero inteso altro. Tipo nelle varie lingue indoeuropee un plurale esteso, una equidistanza per confinare moltitudini. Ma torniamo alla questione, giorni fa, su Doppiozero, lo scrittore e saggista Gianni Bonina ha argomentato intorno alla letteratura femminile siciliana. Articolo complesso, che ha stigmatizzato in qualche maniera una specie di differenza di genere, concludendo che tutto sommato le donne che scrivono sono inclini al romance mentre gli uomini sarebbero più versatili. Ovviamente il testo ha scatenato moti femministi e un orgoglio se vogliamo anche sovrappiù tra le dirette interessate, le scrittrici in genere, e le sodali, le sorelle.
Bonina e persino la rivista (che annovera intellettuali del valore di Marco Belpoliti) sono stati presi di mira con il solito metodo social, bullismo, accerchiamento, detrazione. Uno spettacolo pietoso, che non mi sorprende più, piuttosto potrebbe annoiarmi, intristirmi, a tratti irritarmi (le cosiddette gogne o massive attack di cui peraltro conosco bene gli effetti e gli esiti essendone stata oggetto parecchie volte). Sarebbe bastato rispondere, obiettare, pacatamente, con spade affilate soltanto letterariamente, ovvero nella medesima orbita colta ed elegante in cui Gianni Bonina ha strutturato il “pezzo”. Si può non essere d’accordo, con strumenti diversi che il solito latrare, cinguettare, sbatacchiare (scegliete voi il verbo, ce n’è per tutti). Il romance ad esempio non è necessariamente una sottrazione di autorevolezza linguistica e stilistica. Romance e novel e tutte le declinazioni dei generi applicati nell’arte, nella letteratura dunque, sono soltanto convenzioni, di fatto resta esclusivamente il talento la forca in cui bruciare ogni velleità. Il talento che è ostinatamente trasversale a categorie, orientamenti, plotoni d’esecuzione, non teme la dittatura del correttismo, della giustezza nel dire, che non deborda mai, che bada bene di navigare a vista per non urtare confini resi oramai tizzoni di incomprensibili contese, un tempo fragilità o anelli deboli, oggi riserve protette, intoccabili, tradite per ciò nella loro stessa natura. Ad esempio il femminile: ed è subito crociata. Quello è, il talento. Punto. Stop. Romance o novel o qualsiasi altro escamotage, non addomesticheranno mai l’unica condizione per cui tu scrivi. Ma poi, il pregiudizio femminile nella cosiddetta repubblica delle lettere è molto presente, personalmente l’ho vissuto altrove, senz’altro non nel pezzo di Gianni Bonina. E mi riferisco a scrittori e scrittorini mediamente misogini da cui ho guadagnato mortificazioni boomerang, che non c’entravano molto con i libri che ho scritto; credo pertinenti semplicemente in quanto donna, forse non proprio messa male (un po’ figa sì? Quindi assolutamente non credibile).
O volgarità simili da insospettabili autori, emancipati, progressisti. Talvolta giovani. Talvolta barbogi. Tromboni utili quanto la gramigna. Vecchie ciabatte che rivendicano ancora un so che di prestigioso e personale. Scrittori alla naftalina. Qualcosa di rognoso, che degrada laidamente sul personale dicevo. Niente a che vedere con le riflessioni maturate da Bonina che peraltro danno proprio alle donne che scrivono l’allure di vincenti. Giusto o sbagliato, inesatto o asprigno da mandare giù, il testo di Bonina si mantiene comunque severo, serratamente intrinseco alla parola. La censura ad ogni modo rimane una latrina, dove vanno a fare pipì intelligenze irretite. Cosa ne sia rimasto del sacrosanto diritto di contestare non è granché. Praticamente poco. Concetti blindati, laddove una qualche maniera che reindirizzi alla luminaria “controtendenza” osi mostrarsi nel parterre di militanze bardate di ottusità, per una legge del contrappasso. Troppo liberi e affrancati fino a divenire carcerieri e reclusi insieme. La libertà di dire l’obbrobrio è il margine sconfinato. E invece ne è stato forgiato un dissenso militante, da tessera di partito. Impraticabile, incommestibile. La catena del galeotto.