Ieri mattina mi sono alzato e ho trovato dentro la casella WhatsApp due segnalazioni sulla generosa difesa di Liliane Murekatete che Concita De Gregorio ha voluto concederle su “la Repubblica”. Un gesto personale e giornalistico quasi “d’ufficio”. In nome del comune diritto all'eleganza, al nudo e al lusso. La borghese Concita alla borghese Liliane. I mittenti, li ho d'istinto immaginati con la mano a coprirsi gli occhi per interposto senso di vergogna, sembrava volessero dirmi che "a sinistra" non c’è limite all’assurdo, forse anche all'abisso. O piuttosto alla sfrontatezza, conforto d’eleganza intellettuale, verrebbe forse da aggiungere rischiando la retorica; nuovamente il ritegno perduto. Una constatazione più che rassegnata. Raccogliendo le idee, ho provato a trovare una risposta decente, ancor prima che politica, culturale, meglio attitudinale.
Tra l’affaire Soumahoro e il destino di una sinistra che sempre più si pretende nella risaputa convinzione (e lo dico ricalcando parole altrui, proprie della destra) intellettualmente e moralmente superiore a ogni populismo condominiale. Lotta tra diversamente osceni. Ne è giunta una inerme constatazione segnata, straziata, da un senso di impotenza rispetto al già citato assente senso del limite, del pudore, del ritegno. Mettendo ogni cosa in fila, su tutto emerge ed esonda il silenzio ostinato, forse perfino supponente, dell’iniziale diretto interessato, Aboubakar Soumahoro (per lui, prima delle elezioni, mi sono personalmente speso con un endorsement pubblico accompagnato da un selfie che ci vedeva insieme ospiti di “Agorà” su Raitre) e dei suoi congiunti sulla gestione opaca delle coop che avrebbero dovuto garantire dignità, accoglienza e un salario ai migranti da essi accolti. Cui si è presto affiancata la vicenda delinquenziale di Eva Kaili, europarlamentare socialista greca, e del suo fidanzato, Francesco Giorgi, rispetto alla quale non ho colto molto più che lieve compunto imbarazzo culturale da parte delle "anime belle" del coté progressista, se non implicito ennesimo amichettismo, celata ammirazione segreta per così tanta democratica, altrettanto elegante fotogenicità, sia vista mare sia vista proscenio del Parlamento di Strasburgo.
Su tutto, brillano comunque le parole di Concita De Gregorio a difesa del diritto alla nudità e all’amore per il lusso, sebbene esibiti proprio da Liliane Murekatete, compagna di Soumahoro, presto assimilata impropriamente al "glam" imprenditoriale di Chiara Ferragni e alla professionalità di Diletta Leotta, e ancora di Elisabetta Canalis e Elisabetta Gregoraci, lanterna magica di legittimità femminista, pronta a tralasciare ogni considerazione innanzitutto di stile, opportunità davanti alle denunce dei migranti malamente accolti. La complessità filosofica del “secondo sesso” trattato da Simone de Beauvoir idealmente impallata da una piastra per capelli, da una custodia per cellulare Louis Vuitton, e forse dalle stesse scarpe tacco 12 (Jimmy Choo?) da indossare a favore di telecamera.
E ancora, non proprio a latere, l'esordio contestuale di Elly Schlein, nel cui profilo Twitter, con intento di fidelizzazione politica generazionale, tra “nerd” e “emo”, viene citato il "pollo di gomma con carrucola" di un videogioco anni Novanta, “Monkey Island”. Feticci banali da felpa e divano che hanno però il titanico potere di bannare dalle pareti d’ogni sopravvissuta Camera del Lavoro il manifesto del “Quarto Stato” di Pelizza da Volpedo, lasciando infine le praterie del consenso al populismo di Giorgia Meloni e dello stesso Matteo Salvini. Con tutta la loro artiglieria subculturale da social: “Comunisti col Rolex!”, “Radical chic”, “Sinistra ZTL”, "Maalox...", "Bruciacul..." e ogni altra paccottiglia da meme. Si potrà dire che questa collezione di miserie politiche e antropologiche, bigiotteria post-ideologica vantata per coscienza "civile", fa sognare per tale sinistra edificante il definitivo abisso?
Ancora di più constatando l'esistenza di un sentire gregario, zuppa di farro e tacco basso proprio dei cosiddetti ceti medi riflessivi, in tutto medi, criceti medi della narrazione veltroniana, che nelle parole di Concita De Gregorio hanno ravvisato invece la difesa dell’imene di un vero galateo “civile” lì a difesa del trolley di Liliane. Il mattino del giorno dopo, anche in questo caso, così immagino, le mani a coprire gli occhi di vergogna, Francesco Bei, firma autorevole della stessa testata che ha in Concita De Gregorio la sua cuspide massima per laureate a sinistra, ha provato a correggere il tiro, rassicurare i refrattari al femminismo beauty-case, chiarendo che non può esserci simmetria tra la signora Murekatete e le altre imprenditrici e influencer menzionate, sebbene siano, ognuna a loro modo, almeno ai miei occhi, ugualmente parte di una borghesia che spettacolarizza se stessa; sì, anche i Soumahoro lo sono. Più grave se ciò accade con sfondo di migranti accolti in luoghi dove, è stato detto, “nemmeno i cani”. Quando l’abisso si pretende elegante. Un passo ancora, un nuovo articolo di Concita De Gregoria così, e il sogno di una sinistra "solo con prenotazione obbligatoria" è raggiunto.